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Concorrenza, per il CdS deregulation anche sulle società di persone

Filiera

Non solo le società di capitale, ma anche le società di persone possono essere costituite o partecipate da non farmacisti. E la norma della legge 362/91 che definisce incompatibile la carica di socio di società di farmacie con quella di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia va estesa «a qualsiasi forma di partecipazione» così come può essere applicata alle società stesse. In altri termini, lo stesso soggetto non può essere socio di più società di farmacie e la stessa società non può avere partecipazioni in altre società di farmacie, per scongiurare «aumenti delle dimensioni patrimoniali delle società e conseguenti rischio di concentrazioni societarie».

E’ quanto scrive il Consiglio di Stato nel parere (pubblicato il 3 gennaio) con cui i giudici amministrativi hanno risposto ai quesiti sollevati nel novembre scorso dal ministero della Salute su alcune delle disposizioni dettate dalla legge 124/2017 per la concorrenza. I dubbi del dicastero, in particolare, si concentravano principalmente sulla disciplina delle incompatibilità (legge 362/91) e delle partecipazioni, così come sull’armonizzazione delle nuove norme con le disposizioni del concorso straordinario (decreto “cresci-Italia”).

Nel loro intervento i giudici offrono una lettura delle disposizioni della 124/2017 che non mancheranno di far discutere. A partire, per esempio, dalla già anticipata estensione della “deregulation” alle società di persone, nelle quali per il Consiglio di Stato possono ora essere presenti non farmacisti alla stessa stregua delle società di capitale. A patto, avvertono, che permanga una netta separazione «tra la direzione della farmacia, che per legge deve ora essere attribuita a un farmacista (anche non socio), e la gestione economica della stessa».

Aprirà un ampio dibattito anche un’altra analisi, quella fornita dai giudici a proposito della disposizione (sempre dettata dalla 362/91) che vieta ai soci di società di farmacia di detenere un rapporto di lavoro pubblico o privato. Al Ministero, che proponeva di limitare l’incompatibilità ai soli rapporti subordinati, Palazzo Spada replica sostenendo che il divieto andrebbe allargato anche a «quelle prestazioni che, sebbene autonome, vengono effettuate con una regolarità tale da risultare assorbenti».

Se ne discuterà ancora. Intanto, per chi non avesse voglia di leggersi il ponderoso parere, ecco una sintesi dei quesiti posti dal ministero della Salute e delle risposte offerte dal Consiglio di Stato.

 

 

I primi commenti che arrivano dagli addetti ai lavori confermano la rilevanza del parere ma mettono anche in luce alcune ambiguità interpretative. «Laddove parla di modelli societari» è per esempio il parere dell’avvocato Quintino Lombardo «il Consiglio di Stato fornisce chiarimenti e indicazioni indubbiamente opportune. Per esempio, l’assegnazione della titolarità al soggetto societario costituito dalle aggregazioni vincitrici del concorso straordinario rappresenta un contributo chiarificatore di estrema rilevanza, perché sembrerebbe sgombrare il campo dalle interpretazioni di quelle Regioni, come l’Emilia Romagna, che avevano definito “contitolari pro quota indivisa” i vincitori in forma associata. O ancora, Palazzo Spada fuga ogni dubbio in materia di società di persone, alle quali – dicono i giudici – possono partecipare anche i non farmacisti. Personalmente non avevo dubbi in merito, ma so che era materia di discussione».

Non poca perplessità, invece, è suscitata dalle indicazioni del Consiglio di Stato a proposito di incompatibilità. «Di fatto i giudici escludono categoricamente che chi è titolare o lavora in una farmacia, come direttore oppure collaboratore, possa partecipare a una società che a sua volta è titolare di altre farmacie, anche solo in veste di mero socio di capitale e senza altri ruoli. Di fatto, a una fetta importante della categoria viene preclusa la possibilità di partecipare a forme di investimento ad azionariato diffuso, una chiusura che si fa fatica a comprendere». E’ vero che il Consiglio di Stato suggerisce di adottare la stessa linea anche per le società proprietarie, che quindi non potrebbero essere presenti in qualità di socio in altre società di farmacie, ma per Lombardo non è la stessa cosa: «Resta il fatto che qualunque rapporto di lavoro, e in particolare il lavoro in farmacia, sembra impedire qualsivoglia partecipazione societaria e che tale limite colpisca esclusivamente le persone fisiche, non certo le società, alle quali è permesso ciò che ad altri soggetti è consentito».

 

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