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Pagamenti cashless: li accetta il 79% dei retailer, uno su tre perché aumentano clienti e vendite

Filiera

In Italia accettano pagamenti cashless otto retailer su dieci e, tra questi, circa sette su dieci ricevono da tale genere di pagamenti più del 30% del loro fatturato (il 50% per oltre un terzo del campione). È la fotografia che arriva dalla survey condotta su un campione statisticamente rappresentativo di attività commerciali, farmacie incluse, dalla Community Cashless Society, l’osservatorio permanente di The European House-Ambrosetti che coinvolge imprese e istituzioni.

 

Pagamenti cashless, quelli adottati più spesso dagli esercenti italiani

Più di un esercente su tre (il 35,4%) ritiene l’ampliamento della base-clienti e l’aumento delle vendite il principale vantaggio che discende dall’utilizzo del cashless. Al secondo posto la velocità di accredito degli importi (22,3% dei rispondenti), quindi la semplificazione dei processi (17,5%) e l’aumento dell’importo medio della singola transazione (5,1%). Quanto alle motivazioni per cui si accettano pagamenti cashless, il 58,3% cita l’incremento della domanda da parte dei clienti, seguita dalla diffusione dei mobile Pos (26%). Da segnalare che per il 7,8% del campione la principale motivazione è invece la maggiore convenienza economica del cashless rispetto al contante.

 

Pagamenti cashless, le motivazioni dei retailer

 

Non sorprende allora che, alla domanda su cosa accadrebbe se smettessero di accettare pagamenti cashless, due intervistati su cinque rispondono dicendo che perderebbero fino a un quarto dei clienti. Ma anche sicurezza e trasparenza dei costi rappresentano, per i retailer, un argomento a favore: per circa 4 rispondenti su 5, in particolare, i metodi di pagamento cashless sono più sicuri del contante, anche se in alcune categorie resta consistente l’orientamento opposto (la pensa in questo modo, per esempio, il 44,3% degli esercenti di bar/tabacchi, il 38,7% dei ristoranti e il 28,9% dei dettaglianti).

 

Le motivazioni che per i retailer frenano il cashless

 

Quanto ai fattori che invece rallentano lo sviluppo dei pagamenti cashless tra i retailer, la ricerca evidenzia tre concause: bias informativi riguardo ai benefici del cashless, forte divario Nord-Sud nel suo utilizzo, cultura digitale diffusa in modo ineguale. Sul primo punto (bias informativi) è eloquente il fatto che oltre un rispondente su cinque (il 21%) dichiari di non accettare pagamenti cashless, nonostante per legge dovrebbe farlo, e più di 6 rispondenti su 10 dichiarano di non avere incrementato i pagamenti cashless negli ultimi anni. Quanto al secondo fattore che rallenta lo sviluppo del cashless, il divario tra nord e sud del Paese, basta citare il dato secondo gli intervistati che ritengono più sicuro il contante cresce nel Mezzogiorno fino al 21,3% del totale. Inoltre, i retailer che ritengono sconveniente accettare il cashless sotto un certo valore di spesa sono al Sud il 28,5%, contro il 20,7% del Nord-est e il 20,5% del Nord-ovest. Riguardo alla scarsa cultura digitale che ancora caratterizza il Paese, infine, è significativo che un intervistato su quattro (il 26,9%) non utilizzi Internet e 3 su 5 (il 59,1%) giudicano «basso o molto basso» il valore dei dati che raccolgono dai clienti.

 

Cultura digitale, troppi i retailer che non investono nell’online

 

La questione culturale emerge anche da altre risposte alla survey: un intervistato su due (il 49,5%) ritiene di non avere bisogno, all’interno della propria attività commerciale, di persone con competenze digitali avanzate, e quasi sei su dieci (il 57,1%) non ritengono utile neanche l’utilizzo di percorsi di formazione sulle potenzialità dei pagamenti digitali, non percependo i possibili benefici dell’innovazione. Di conseguenza, solo il 12,6% degli intervistati è favorevole a confrontarsi con un fornitore commerciale per incrementare la digitalizzazione della propria attività e la maggior parte di loro (oltre un terzo) ritiene non sia necessaria una maggiore digitalizzazione (33,8%); infine, oltre uno su cinque (20,5%) non riconosce i benefici conseguibili con una maggiore digitalizzazione.

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