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Datamatrix, il nodo più intricato resta il ruolo del Poligrafico. Farmaci con la fascetta come le sigarette?

Filiera

Farmaci come sigarette e alcolici, con la striscia di carta del Poligrafico dello Stato da strappare per aprire la scatoletta? È l’ipotesi che si sta concretizzando man mano che si avvicina la fatidica data del 9 febbraio 2025, ossia il giorno in cui l’Italia passerà al sistema europeo datamatrix per la tracciatura dei medicinali con obbligo di ricetta, che vige da cinque anni circa negli altri Paesi Ue. Il percorso di avvicinamento, come Pharmacy Scanner ha già avuto modo di riferire, resta accidentato e incerto, tanto che le rappresentanze della filiera – preso atto che nessuna delle loro richieste è stata sinora accettata – hanno rinunciato a interloquire con il ministero della Salute e sono andate a bussare direttamente alla Presidenza del consiglio dei ministri.

Intanto, si fanno via via chiari i passaggi più “ambigui” della bozza di decreto legislativo di recepimento, approvato il 30 agosto scorso (in via preliminare) dal Consiglio dei ministri. A partire dal ruolo che il Poligrafico dello Stato assumerà nel nuovo sistema di tracciatura: con il pensionamento dei vecchi bollini adesivi, come noto, l’Istituto rischia di dire addio a una fonte d’introiti decisamente cospicua (circa 90 milioni di euro all’anno secondo alcune fonti, senza i quali sarebbero a rischio circa 400 posti di lavoro) ed ecco quindi il motivo per cui il legislatore, nel contestualizzare le norme europee sulla tracciabilità, si è preoccupato di tenere in gioco il Poligrafico.

Il “come” era apparso subito chiaro all’uscita del decreto: l’articolo 2, a proposito di «dispositivo antimanomissione» (detto anche anti-tampering, una delle novità collaterali del datamatrix) scrive a chiare lettere che «in ragione della sua natura e funzione» il dispositivo è «carta valori». Ora non ci sono più dubbi sul significato: dal 9 febbraio, sulle nuove confezioni (ripetiamo: dei farmaci con ricetta) comparirà una striscia di carta incollata simile a quella che contraddistingue sigarette e altri prodotti del Monopolio. Un’etichetta che andrà strappata per arrivare a ciò che c’è dentro.

Nessun altro dei Paesi che hanno già adottato il datamatrix ha fatto scelte analoghe (nella maggior parte dei casi l’antitampering è una linguetta di carta che si sgancia o si stacca all’apertura) ma soprattutto, all’estero le scelte di dettaglio sono state lasciate all’industria, ossia quella che paga. Chiaro quindi perché le aziende farmaceutiche che operano in Italia stiano opponendo una strenua resistenza alla norma sulla carta valori: i costi a carico dei produttori per attuare la disposizione sarebbero enormi, per di più l’estrema varietà dei formati (delle confezioni) rischia di complicare ulteriormente la vita alle imprese. Non a caso, nell’audizione davanti alle camere sul decreto datamatrix, Farmindustria ha chiesto esplicitamente che «non si disturbi chi vuole lavorare»: pur di evitare il fastidio della carta valori, le aziende sarebbero persino pronte a versare al Poligrafico sotto forma di “obolo” quello che oggi spendono per i bollini adesivi.

Ma lo sforzo di tenere a tutti i costi in gioco il Poligrafico anche nel sistema datamatrix che verrà potrebbe mettere in difficoltà anche le farmacie. L’intenzione, infatti, è di dare all’Istituto una leva da manovrare anche nell’operatività della tracciatura, aggiungendo un passaggio che oggi non c’è: in sostanza, quando una farmacia chiuderà (decommissionerà, nel linguaggio Ue) la confezione erogata, il codice datamatrix del farmaco e quello a barre della ricetta verranno inviati al Poligrafico, che a sua volta li girerà a Sogei (per gli usi correlati al Sistema Ts) che a sua volta “passerà” il solo datamatrix all’archivio nazionale Nmvo della tracciabilità (per l’annullamento). Come si sarà capito, l’Istituto dovrebbe fare semplicemente da passacarte, con il rischio (considerato che l’informatica non è il suo mestiere) di complicare le cose e quindi complicarle alle farmacie. Per esempio, a livello europeo uno dei problemi riscontrati con maggiore frequenza è quello dei falsi positivi, ossia le confezioni che il sistema considera false ma invece false non sono: secondo un rapporto della Commissione Ue di qualche mese fa, in sette Paesi il tasso degli alert oscilla tra lo 0,16% e l’1,17% (in sostanza, da uno a dieci allarmi circa ogni mille scatole scansionate), quando l’obiettivo è di avere un tasso non superiore allo 0,05%. E più allarmi ci sono, maggiore il fastidio per il farmacista che deve mettere da parte la scatole (per verificarla) e darne un’altra paziente. Proprio per questo, nella stessa audizione in cui era stata sentita Farmindustria, Federfarma ha espresso preoccupazioni per la decisione di mettere un punto di passaggio aggiuntivo in un percorso che dovrebbe essere il più rettilineo possibile.

Come detto, ora la speranza della filiera è di trovare nella Presidenza del consiglio dei ministri quell’ascolto e quella apertura che finora sono mancati. Per esempio, i distributori attendono ancora di averte risposte riguardo alla loro richiesta che i passaggi di lotti “intergruppo”, cioè tra società distributrici dello stesso soggetto logistico, venga escluso dagli obblighi della tracciabilità, che costringerebbe le imprese a costosi adeguamenti tecnologici. E per finire, tutta la filiera attende notizie riguardo a due proposte comuni, quella che chiede di ridurre considerevolmente le sanzioni previste dal decreto (80mila euro per chi non cancella i codici o non verifica l’integrità del dispositivo anti-tampering) e quella che raccomanda un periodo di adeguamento (con sospensione delle sanzoni) si almeno 18-24 mesi.

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