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Federfarma Servizi compie 35 anni. Mirone: costo del denaro e fedeltà dei titolari le sfide di oggi

Filiera

Sono 35 le candeline sulla torta di compleanno di Federfarma Servizi, l’associazione cui fanno capo 18 società della distribuzione intermedia e dei servizi appartenenti ai farmacisti. La ricorrenza è stata celebrata in occasione dell’assemblea pubblica della settimana scorsa, nella quale Federfarma Servizi è tornata un’altra volta sui numeri che fotografano l’impegno profuso dalle imprese associate durante l’emergenza covid. «Non solo celebriamo questo anniversario con lo spirito cooperativo e i valori che animano le società dei farmacisti» è la dichiarazione che Federfarma Servizi affida a una nota «siamo orgogliosi di sostenere che senza il ruolo di raccordo e coordinamento svolto dal nostro comparto, la sanità territoriale non potrebbe esistere».

Presidente Mirone, ci siamo quasi messi alle spalle i primi sei mesi del 2023, cosa pensa che serberanno alle imprese del comparto i restanti sei?
Il 2022 è stato un anno difficile per tutti, con i costi di energia e materie prime che sono letteralmente schizzati. È stato confortante però vedere che le nostre affiliate hanno risposto prestando un’attenzione particolare ai costi e al loro contenimento. Dico che è confortante perché ormai i rincari dell’energia sono stati riassorbiti in buona parte, ma ora c’è un’altra minaccia che incombe e mi riferisco all’impennata dei tassi d’interesse sull’euro».

L’aumento del costo del denaro è motivo di preoccupazione anche per voi?
Certo. Fino a qualche anno fa così non era perché le cooperative facevano scarso uso della leva finanziaria, ma oggi il contesto è cambiato profondamente: i fornitori chiedono di essere saldati in 7-15 giorni, le farmacie pagano a 30 giorni. Le nostre imprese ricorrono al credito bancario soprattutto per contemperare le due scadenze ma è evidente che un conto è prendere denaro al 2-3%, com’era prima, e un altro averlo al 7-9%, come accade adesso».

Un altro problema emerso tra la fine del 2022 e i primi del 2023 è stato quello degli acquisti diretti…
Oggi il fenomeno risulta più contenuto, ma continuiamo a ragionare con l’industria al tavolo del Ministero sulle carenze: non vogliamo arrivare a un provvedimento legislativo, ma i produttori devono capire che un farmaco in rottura di stock non può passare dagli acquisti diretti, deve transitare dal distributore che così lo recapita al maggior numero di farmacie possibile. Su questo anche la politica sta cominciando a capire».

Secondo i dati di Iqvia, nel settore continua la progressiva concentrazione dei distributori, ormai ridotti a una quarantina con i primi dieci che fanno l’82% del mercato. Il trend proseguirà anche nei prossimi anni?
Sono convinto di sì anche se dovremo attendere ancora quattro o cinque anni per arrivare al livello dei nostri vicini come Francia e Germania, dove i primi quattro o cinque distributori fanno oltre il 90% del mercato.

Non calano soltanto le imprese della distribuzione ma anche i magazzini, sebbene a un ritmo decisamente inferiore rispetto alle prime. Perché?
Continuiamo a scontare una dipendenza che definirei storica dai territori, che rende difficile razionalizzare la rete logistica: appena si parla di chiudere un magazzino, scatta la protesta delle farmacie circostanti. Non a caso, i grossisti che ultimamente hanno dismesso qualche struttura l’hanno fatto dopo avere aperto nella stessa regione un hub di grandi dimensioni.

È recente la notizia che Hippocrates e Dr.Max stanno costruendo il loro Cedi. Anche questo è motivo di preoccupazione?
Certamente. Si configura come un elemento di disruption in un mercato che già oggi deve fare i conti con una marginalità risicata. Con una metafora, l’acqua rischia di diventare sempre meno per i pesci che vi nuotano.

Forse è per questo che sempre più spesso i network dei distributori spingono i loro affiliati verso livelli crescenti di delega e fedeltà…
Proprio così. Insistiamo perché i farmacisti titolari si rendano conto che occorre un cambio di passo culturale, per arrivare a un momento in cui ogni farmacia ha il suo grossista – ma io preferirei dire la sua società dei farmacisti – e a questo affida la parte preponderante dei suoi acquisti, al prezzo migliore possibile. Serve un patto a due che sollevi il farmacista da pratiche come il riordino, sempre più automatizzabili, e gli permetta di dedicarsi davvero alla professione. Lasciando da parte abitudini come quella di inseguire il centesimo di risparmio.

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