Se il Governo Conte-bis non riuscirà a disinnescarli nella prossima Finanziaria, gli aumenti iva concordati con l’Europa nella Legge di Bilancio per il 2019 dall’esecutivo precedente (il Conte 1) riporteranno i consumi degli italiani indietro di tre anni. La previsione arriva da IRi, che nelle settimane scorse ha analizzato in un report le ricadute di un’eventuale applicazione delle misure pattuite. Ricordiamole: se l’Italia non riuscirà a rispettare nei prossimi due anni i vincoli di bilancio derivanti dall’appartenenza all’Ue, il Governo sarà costretto a ricavare le risorse necessarie (50 miliardi di euro) dall’aumento delle aliquote iva: la ridotta dal10 al 13% nel 2020, l’ordinaria dal 22% al 25,2% nel 2020 e al 26,5% nel 2021.La società di ricerche ha valutato gli effetti di tali aumenti nel Largo consumo confezionato (Lcc: ipermercati, supermercati, Libero servizio, Specialisti casa e personal care, discount) e le stime che ne risultano non invitano all’ottimismo: l’aliquota media salirebbe dal 12% circa di oggi a oltre il 14%, i prezzi al pubblico crescerebbero mediamente del 2,3% e i consumi (unità) calerebbero dell’1,6%; le vendite a valori (tra prezzi che aumentano e domanda che arretra) non lieviteranno più dello 0,6%, il che equivarrà a ricavi ben sotto l’inflazione. «L’eventuale applicazione delle clausole iva, senza assorbimento da parte della Gdo» tira le somme IRi «riporterebbe la domanda ai livelli del 2016».
Come detto, le stime della società di ricerche riguardano il Largo consumo e non prendono in considerazione la farmacia. E’ vero però che i due canali condividono diversi comparti del libero servizio, dunque i numeri che escono dal report meritano di essere valutati anche dai farmacisti titolari.
Se poi il desiderio è quello di avere sotto mano qualche previsione che metta a fuoco le prospettive del mercato in farmacia, si può sempre fare riferimento ai “forecast” (Market Prognosis 2019-2023 – Italy) con cui Iqvia scruta periodicamente nella proverbiale palla di vetro. Rispetto al report di IRi, l’analisi in questo caso è a più ampio spettro e considera tra le variabili non solo l’aumento dell’iva ma anche l’andamento dei conti pubblici e le misure relative alla governance del farmaco che il governo Conte-1 ha lasciato in eredità al Conte-2. «Gli elementi di incertezza non sono pochi» spiega a Pharmacy Scanner Francesco Cavone, director di Iqvia «in ogni caso la nostra stima è che il mercato del farmaco in farmacia – cioè convenzionata e non rimborsato, con e senza ricetta – calerà quest’anno dello 0,6% circa, per fermarsi a 10,3 miliardi, e nel 2020 arretrerà dell’1,5%, a poco meno di 10,2 miliardi».
In controtendenza, invece, i farmaci della distribuzione diretta: «a dicembre il giro d’affari dovrebbe superare i 2,6 miliardi» riprende Cavone «per un incremento sull’anno passato di oltre il 14%. Nel 2020, invece, la crescita dovrebbe fermarsi poco sopra il 10%, a quasi tre miliardi di euro». Numeri a parte, la stima di Iqvia considera che un eventuale incremento dell’iva potrà avere effetti sui consumi soltanto nel non rimborsato, mentre sui trend della convenzionata influiranno in misura nettamente maggiore gli eventuali interventi sulla spesa Ssn. «Tra questi» conferma Cavone «andrà tenuta d’occhio la possibile riorganizzazione del Prontuario per categorie terapeutiche omogenee, dalla quale potrebbero discendere importanti contenimenti dei prezzi».