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Wba, prova di forza alla Borsa di Milano. E il Cergas mappa la titolarità in Europa

Filiera

La farmacia italiana non ha niente da temere dall’apertura della titolarità al capitale straniero. Non se è di Walgreens Boots Alliance, che del tutto forestiera non lo è perché nella sua storia c’è un po’ di italianità. E soprattutto c’è tanta farmacia. Non si è fatta attendere la risposta di Wba alle reiterate esternazioni di Giulia Grillo, ministro della Salute, e Giorgio Trizzino, l’onorevole pentastellato che a dicembre aveva cercato di infilare nella Manovra il famoso emendamento del 51%. Una risposta che si è tradotta non soltanto in una sorta di “operazione simpatia” diretta a dare volto familiare alla multinazionale americana, ma anche in un’esibizione di straordinaria potenza di fuoco “lobbistica”, nel senso più istituzionale del termine.

La prova di forza e dissuasione allo stesso tempo è andata in scena martedì 16 aprile in una location quanto mai emblematica, la sede milanese di Borsa Italiana, dove la multinazionale Usa ha chiamato a raccolta stampa, mondo dell’industria e filiera farmaceutica con il pretesto di presentare le sue attività italiane: finalità meramente tattica, perché dall’evento non è uscito niente che già non fosse stato scritto, dalle quattro farmacie milanesi “vestite” con il format Boots (cui ne seguiranno presto altre anche nel resto del Paese, ha detto Ornella Barra, chief operating officer di Walgreens) alle attività di Alphega, la rete delle farmacie indipendenti.

Il vero obiettivo, invece, era quello di mostrare il parterre di “testimonial” che in Italia stanno dalla parte del gruppo e dei suoi investimenti: «Wba» ha detto aprendo il convegno Raffaele Jerusalmi, amministratore delegato di Borsa Italiana «è un bene per l’Italia». «Non si può che essere grati verso questa società» ha rincarato Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria «che ha il cuore in Italia (in riferimento a Ornella Barra e Stefano Pessina, ndr) e la testa in Usa. Wba è un orgoglio italiano che ci ricorda la necessità di cancellare il deficit di competitività esistente nel nostro Paese». «Gli investimenti Usa» ha ricordato in un videomessaggio Lewis Eisenberg, ambasciatore degli Stati Uniti in Italia «sono un’opportunità importantissima per il vostro Paese». «Milano è la città italiana che più attrae capitali e investimenti» ha osservato il sindaco Giuseppe Sala «vogliamo proseguire in questa direzione per sostenere l’innovazione e la crescita». E se i nomi non bastano si possono aggiungere quelli di Mario Monti, ex presidente del Consiglio, e Giulio Tremonti, ex ministro delle Finanze, entrambi in platea.

Anche Ornella Barra, nel suo intervento, si è tolta qualche sassolino dalla scarpa senza comunque rinunciare al tono della diplomazia: «Wba è una compagnia con il cuore da farmacista» ha sottolineato «aprirsi a investitori esteri non significa depauperare il sistema-Paese, confido nella capacità della politica di cogliere l’opportunità di attrarre capitali per rilanciare l’Italia. Oggi è fondamentale promuovere il Made in Italy, ma mi permetto di aggiungere che è necessario promuovere anche il Made with Italy».

La farmacia italiana, ha continuato Barra, è tra le più attrezzate e capillari in Europa ed è giusto che difenda questo patrimonio, «ma deve anche aprirsi al cambiamento e accettare le sfide in arrivo». In questo contesto, Wba non è una minaccia al sistema: «Il fatto che a Milano abbiamo rilevato dal fallimento nove farmacie» ha ricordato «dimostra che a rischio non ci sono soltanto le rurali. E la Legge sulla concorrenza ha permesso ai farmacisti titolari di scegliere più liberamente il proprio futuro: restare indipendenti, aggregarsi in un network, vendere a una catena».

Sbagliato anche vedere in Wba un corpo estraneo che può “infettare” la farmacia italiana: Walgreens deve il proprio nome al fondatore, un farmacista dell’Illinois che aprì il suo primo esercizio a Chicago nel 1901, e la prima farmacia Boots risale al 1849. La catena inglese, ha ricordato ancora Barra, conta nel Regno Unito 2.500 farmacie di proprietà, nel 2018 ha spedito 250 milioni di ricette e la sua carta fedeltà è usata da 15 milioni di britannici: «Il marchio Boots in Inghilterra è una vera e propria istituzione» ha proseguito «perché nasce da farmacisti ed è in farmacia prima nella salute e poi nella bellezza. Nelle nostre farmacie lavorano più di 8.500 farmacisti e riserviamo un’elevata attenzione alla customer care».

L’esperienza britannica serve anche a dimostrare che dove spuntano le catene i farmacisti titolari non sono condannati all’estinzione: nel Regno Unito, ha ricordato ancora Barra, ci sono seimila farmacisti indipendenti e Boots ci ha messo 170 anni per arrivare a possedere 2.500 farmacie. «Vogliamo diventare una piattaforma globale» ha concluso la manager di Wba «che garantisce la qualità dei suoi servizi e della quale possono beneficiare tutti gli attori del farmaco».

 

Catene permesse in un Paese su due

Catene, la situazione in Europa secondo il Cergas Bocconi

Che le scelte più recenti fatte dall’Italia in materia di titolarità abbiano ben poco di anomalo rispetto alla realtà della farmacia lo dimostra anche un raffronto con gli altri Paesi europei. Lo ha fatto Claudio Jommi, docente e ricercatore del Cergas Bocconi, che all’evento di Milano ha esibito dati e cartine. Dalle quali risulta innanzitutto che le catene sono consentite nel 50% dei Paesi considerati, per una popolazione pari al 44% del totale. Resta però da capire il criterio con cui è stato selezionato il campione, che considera soltanto l’Europa centro-occidentale ed esclude del ttuto quella orientale.

 

Titolarità a non farmacisti nel 64% dei casi

Anche sulla titolarità si fa fatica a intravedere un modello europeo consolidato: il 64% dei Paesi considerati (che raggruppano il 54% della popolazione) consente la proprietà delle farmacie a non farmacisti, quindi anche qui la scelta fatta dall’Italia con la Legge sulla concorrenza è coerente con altre esperienze vicine.

 

Sop-Otc fuori in due Paesi su tre

Il raffronto tra Paesi si fa ancora più complicato rispetto alla distribuzione in farmacia dei medicinali senza obbligo di prescrizione: nel 62% delle esperienze europee è consentita la dispensazione dei Sop-Otc anche in altri canali, ma con differenze vistose. In Italia e Portogallo la misura riguarda tutti i “senza ricetta “è richiesta la presenza obbligatoria del farmacista, altrove la dispensazione extracanale si ferma a una lista più o meno ristretta di prodotti.

Le evidenze che emergono dai raffronti? Come ha detto Jommi, non è provato che nei Paesi dove il servizio farmaceutico è meno regolamentato i prezzi dei farmaci Otc tendano a ridursi; è invece frequente che la liberalizzazione porti alla nascita di nuovi punti vendita, a meno che non sussistano – come in Italia – regolamentazioni specifiche sulla distribuzione delle farmacie. «Le evidenze empiriche» ha concluso il ricercatore del Cergas Bocconi «sembrano supportare il modello scelto dall’Italia, dove l’apertura della titolarità ai non farmacisti non ha fatto venire meno la Pianta organica: è una soluzione che può aumentare efficienza e qualità dei servizi senza compromettere l’equità dell’accesso, ma serviranno dati empirici per valutare i reali effetti della liberalizzazione».

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