Dopo la pandemia 4,4 mln di italiani in smart working. App e loyalty per mappare i nuovi tragitti

Consumatore

Nel marzo 2020, quando venne decretato il primo lockdown, gli italiani passati da un giorno all’altro al cosiddetto “lavoro agile” erano più di 6,5 milioni. Sono scesi a quattro milioni nel terzo trimestre di quest’anno, ma risaliranno a 4,4 milioni una volta chiusa definitivamente l’emergenza sanitaria. I numeri arrivano dall’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano e confermano ciò che parecchie fonti avevano già profetizzato nei mesi passati: a prescindere da quando e come usciremo da questa pandemia, città e uffici non torneranno popolarsi come prima e il traffico di pendolari e lavoratori non seguirà i percorsi di un tempo.

Chi non si fida delle previsioni faccia affidamento sulle notizie più recenti: agli inizi di dicembre Governo e parti sociali (Confindustria e sindacati confederali) hanno dato luce verde al Protocollo nazionale che disciplina la contrattazione collettiva per lo smart working nel settore privato. Le aziende che vorranno continuare a servirsi del lavoro agile una volta terminata l’emergenza, in sostanza, hanno le linee guida cui attenersi, nel rispetto della legge 81/2017 e degli accordi collettivi vigenti. In estrema sintesi, l’adesione al lavoro agile avviene su base volontaria ed è subordinata alla sottoscrizione di un accordo individuale con diritto di recesso; andranno concordati l’alternanza tra i periodi di lavoro all’interno dell’azienda e all’esterno, le modalità della prestazione lavorativa a distanza, gli strumenti di lavoro, i tempi di riposo eccetera.

Tutte le stime dicono che le opportunità offerte dal Protocollo non andranno perse: tra le grandi imprese, certifica l’Osservatorio sullo smart working, l’81% dice di avere già formalizzato con i dipendenti accordi per il lavoro agile o prevede di farlo prossimamente; nella pubblica amministrazione dà la stessa risposta il 50% degli enti, dichiara invece che non si servirà dello smart working il 51% delle piccole e medie imprese, tra le quali il 13% soltanto afferma di avere già sottoscritto accordi in materia o di volerlo fare. In sintesi, beneficeranno del lavoro agile più di due milioni di lavoratori delle grandi imprese, 700mila delle pmi, 970mila nelle microimprese e 680mila nella Pubblica amministrazione. Quasi quattro milioni e mezzo di lavoratori che non prenderanno più il treno con la stessa frequenza di prima, non saliranno su autobus e metrò, non lavoreranno quotidianamente in fabbriche e uffici, non pranzeranno in bar e tavole calde, non rifaranno ogni giorno lo stesso percorso casa-lavoro.

Per le farmacie che dall’inizio della pandemia hanno guadagnato o perso ingressi, a seconda di come sono mutati i flussi di traffico, diventa indispensabile ragionare sul domani: si può supporre che la stabilizzazione dello smart working cronicizzerà le difficoltà patite durante il lockdown dalle farmacie dei grandi centri urbani e continuerà ad avvantaggiare quelle dei quartieri residenziali e delle periferie. Ma ci sono parecchie variabili da tenere in considerazione. Per esempio, è opinione comune che la maggior parte delle aziende (molte lo stanno già facendo) propenderà per uno smart working a intermittenza, che prevede due-tre giorni lavorativi in ufficio e gli altri da remoto. Si profila così uno scenario in cui una consistente fetta di farmacie dovrà organizzarsi per servire una clientela dalle abitudini e dai tragitti casa-lavoro di giorno in giorno differenti, secondo una ciclicità settimanale più o meno fissa. Si pensi soltanto al ritiro di un farmaco in dpc: sapendo che deve fare due passaggi, il cliente in smart working che un giorno lavora in ufficio e l’altro a casa, preferirà rivolgersi alla farmacia vicina all’azienda o a quella che dista pochi chilometri dall’abitazione. Oppure si affiderà a un esercizio che effettua l’home delivery?

Per le farmacie, allora, diventa ancora più impellente fornirsi di strumenti che consentono di indagare nei nuovi comportamenti dei loro clienti, tracciare i nuovi percorsi e le nuove abitudini, raggiungerli con la stessa frequenza di prima anche se loro non passano più in farmacia come un tempo. «Dopo due anni di pandemia» ha detto Cristina Ziliani, responsabile scientifico dell’Osservatorio Fedeltà dell’università di Parma «una buona parte delle farmacie ha visto stravolta la propria base clienti: chi ne ha persi, chi ne ha acquisiti, chi ha visto calare gli ingressi, chi ha aumentato il valore medio dello scontrino, hanno smesso di acquistare i prodotti di certe categorie… c’è stato un tale rimescolamento nei comportamenti degli individui che il farmacista non può più fare a meno di un gestionale dei clienti».

Torna insomma un tema già noto, quello della carta fedeltà non come strumento di mera promozionalità, ma come “chiave” per convincere il cliente a lasciarsi profilare. «Se io farmacista voglio capire qualcosa delle persone che continuano a frequentare la mia farmacia e come sono cambiate le loro abitudini – oppure chi sono i nuovi utenti e se li sto trattenendo e come – devo per forza disporre di un database che mi aiuti a gestire i miei clienti come il gestionale della farmacia fa con il mio magazzino».

«Occorre capire che con la pandemia non sono cambiati i clienti, è cambiato il flusso» commenta Nicola Posa, senior partner del gruppo Shackleton «per arrivare in farmacia non c’è più una strada soltanto ma ce ne sono tante, che lo stesso cliente può cambiare giorno dopo giorno in base ai suoi percorsi o alla sua convenienza. Non vincerà quindi la farmacia sotto casa o quella sotto l’ufficio, vincerà la farmacia che la gente considera migliore. Per esempio in termini di sicurezza rispetto a covid: molti farmacisti credono che oggi conti meno di prima, invece con l’arrivo dell’inverno le farmacie che hanno organizzato spazi di attesa al chiuso accoglienti e con il dovuto distanziamento stanno guadagnando ingressi. Vincono anche le farmacie che comunicano: prima il cliente telefonava, ora usa anche Whatsapp, Google o Messenger, e privilegia gli esercizi che presidiano questi canali. E infine c’è la loyalty, che molte farmacie stanno riscoprendo».

Che la loyalty non possa più essere trascurata dal canale farmacia lo suggeriscono anche gli ultimi aggiornamenti che arrivano dal mondo delle catene e dei network, dove si fa sempre più serrata la corsa alle app per smartphone con carta fedeltà integrata. Lloyds Farmacia ha aggiornato di recente la propria piattaforma digitale per far convergere in un unico punto tutti i percorsi di acquisto e profilare il cliente che arriva dall’offline come quello che giunge dall’online (allo scopo di misurare nel dettaglio rotte e nuove abitudini), ma si può dire che ormai quasi tutte le insegne della farmacia italiana, che si tratti di catene del capitale o network indipendenti, si sono dotate di app con carta fedeltà integrata. Non tutti usano ancora i due strumenti come si dovrebbe (con le catene più avanti dei network per il vantaggio che deriva dalla standardizzazione del consiglio al banco) ma la strada è ormai imboccata e chi resta fermo alla linea della partenza rischia di ritrovarsi domani senza strumenti che lo aiutino a leggere nuove abitudini e nuove rotte del consumatore.

 

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