Deblistering, il Consiglio di Stato “bacchetta” il Ministero: dica se è rischioso o no e se fa risparmiare
Sul deblistering in farmacia, il Ministero non tergiversi e spieghi – norme alla mano – quali sono gli eventuali rischi che tale attività comporta per la salute pubblica. E se ci sono, perché non è intervenuto nei confronti di quelle (poche) Regioni che a oggi hanno provveduto a disciplinarlo con propri protocolli. Si può riassumere in questi termini la sollecitazione che il Consiglio di Stato ha rivolto al dicastero della Salute perché fornisca i chiarimenti richiesti. Chiarimenti che servono alla giustizia amministrativa per esprimersi sul ricorso straordinario al presidente della Repubblica depositato nel dicembre 2022 da una farmacia del torinese, alla quale l’Asl aveva respinto la comunicazione con cui la farmacia stessa notificava l’avvio dell’attività di deblistering nel proprio laboratorio (secondo le linee guida adottate dalla Regione Lombardia nel febbraio precedente).
Ma come hanno fatto Consiglio di Stato e ministero della Salute ad arrivare ai ferri costi? E qual è la posta in gioco in questo lungo contenzioso che pare prossimo alle battute finali, dato che i chiarimenti del dicastero dovrebbero arrivare entro l’estate? Ridotta all’essenziale, la questione ruota attorno a un quesito: considerato che al momento sono quattro le Regioni in cui sono stati adottati protocolli operativi per le farmacie che vogliono fare attività di deblistering, che cosa impedisce agli esercizi ubicati in altre parti del Paese di proporre lo stesso servizio? Prima l’Asl To5 e poi la Regione Piemonte, come spiega nell’istruttoria il Consiglio di Stato, avevano motivato il loro parere negativo con «l’assenza di specifiche disposizioni normative nazionali e di indicazioni
regionali che prevedano tale attività di confezionamento personalizzato», considerato che «gli approfondimenti sinora svolti hanno evidenziato la presenza di potenziali criticità meritevoli di ulteriori considerazioni». Dello stesso avviso il ministero della Salute, che su richiesta della Regione, aveva espresso all’epoca dei fatti un parere secondo il quale (come sintetizza il Consiglio di Stato) «l’attività di “deblistering” a oggi non è trattata dalla normativa di settore e necessiterebbe quindi, per essere ammessa, di una compiuta disciplina nell’ambito delle Norme di buona preparazione contenute nella Farmacopea ufficiale».
Per sbrogliare la matassa, nell’aprile dell’anno scorso il Consiglio di Stato chiede al ministero della Salute «una ulteriore relazione con la quale si specifichi in maniera circostanziata lo stato dell’arte nella materia», e in particolare «se l’attività di deblistering è attualmente praticata in altre farmacie, se è stata disciplinata da qualche Regione e, in caso affermativo, secondo quali modalità». Il tutto seguito dall’avvertimento che «è assolutamente indispensabile che quanto sopra richiesto sia adempiuto nel più breve tempo possibile».
La risposta che arriva dagli uffici del dicastero è asciutta: «La scrivente Amministrazione non possiede le informazioni richieste, in quanto le Regioni che, nell’ambito delle proprie competenze in materia di esercizio di farmacia, hanno disciplinato l’attività in questione, eventualmente ammettendola e definendone condizioni e limiti, non hanno informato questa Amministrazione. Per le medesime ragioni la scrivente non ha notizia di quali e quante siano le farmacie del territorio nazionale che attualmente praticano il deblistering, anche in considerazione del fatto che la vigilanza sulle farmacie afferisce alle competenze degli enti locali e che questa Amministrazione non ha diretti rapporti o interlocuzioni con le farmacie territoriali».
Ci pensano allora i ricorrenti a fornire ai giudici amministrativi quello che dal Ministero non è arrivato, ossia i protocolli delle quattro Regioni (ripetiamo: Lombardia, Umbria, Veneto ed Emilia Romagna) che a oggi sono intervenute con proprie linee guida sul deblistering. Il Consiglio di Stato non la prende bene e nella relazione che segue l’udienza dell’11 dicembre scorso torna a bussare al Ministero ma stavolta con tono spazientito. «Stante la delicatezza della materia riguardante un’attività ormai praticata da molte farmacie e disciplinata anche in maniera espressa in alcune Regioni, appare importante conoscere il precipuo orientamento del ministero della Salute» su tale servizio, che «non risulta né vietata dalla legge né dichiarata pericolosa per la salute pubblica». Non solo, poiché – scrive il Consiglio di Stato – «non risulta che dagli Organi di controllo competenti siano state espresse censure alle delibere di quelle Regioni che hanno inteso disciplinare la materia, il Collegio chiede al Ministero di acquisire un’ulteriore relazione integrativa», che oltre ai protocolli adottati da alcune Regioni per disciplinarne la materia «si pronunci in punta di diritto sull’assenza o meno di aspetti di pericolosità per la salute pubblica nell’attività di deblistering e, ancora, sull’impatto finanziario che l’attività di deblistering potrebbe determinare sul bilancio pubblico in relazione a possibili risparmi di spesa».
«In sintesi» commenta a Pharmacy Scanner Alessandro Iadecola, ceo di Remedio «il Consiglio di Stato ha posto due semplici quesiti: il deblistering nuoce alla salute dei pazienti? E ancora: il deblistering può ridurre i costi per il Ssn? La risposta del Ministero dovrebbe essere esaminata dai giudici entro la fine di giugno, la speranza di tutti coloro i quali credono nel deblistering come leva per l’aderenza terapeutica è che da questo contenzioso scaturisca un adeguamento normativo che superi le difformità dei protocolli adottati da qualche Regione e fissi regole uguali per tutti».