Covid, fine della guerra all’orizzonte. Ora c’è da riconvertire le farmacie alla “produzione” civile
Si chiama “riconversione” ed è quella difficile fase che in ogni dopoguerra riporta l’industria di un’intero Paese dalla produzione bellica a quella civile del tempo di pace. In questi due anni la pandemia è stata paragonata spesso a un conflitto e così, la recente promessa del premier Mario Draghi che a fine marzo lo stato di emergenza non verrà più rinnovato è parso a molti l’annuncio che la guerra al coronavirus sta per finire. Niente più quarantene, mascherine e green pass, così come distanziamenti e ingressi contingentati. E niente più tamponifici, anche se è molto probabile che gli italiani non vorranno rinunciare d’emblée alla chance di un test antigenico a fine preventivo.
Da aprile, dunque, non ci saranno più clienti in fila fuori delle farmacie, né schermi in plexiglass sui banchi o adesivi sul pavimento che indicano corsie e punti di attesa. Ma questa è soltanto la punta emersa dell’iceberg: con l’arrivo del tempo di pace, anche i titolari dovranno riconvertire gradualmente la propria produzione da bellica a civile: meno ore lavoro su tamponi e vaccini così come sui cosiddetti prodotti covid, più attenzione ai segmenti di mercato che i consumatori privilegiano nella “normalità”.
Anzi, è già tempo di chiedersi quali cambiamenti interverranno nel cliente della farmacia man mano che la “pace” post-pandemica si consoliderà. Per riflettere, si può partire dall’identikit del consumatore ai tempi del covid che tratteggiò un anno fa TradeLab nella sua indagine Shopper 2021. In sintesi:
• Store loyalty aumentata: nel 2019 ha una farmacia di riferimento il 50% degli italiani, nel 2021 sono il 67%. «Il principale motivo per cui si sceglie una particolare farmacia è la vicinanza alla propria abitazione, mentre la prossimità al luogo di lavoro perde rilevanza. La fidelizzazione al punto vendita, di conseguenza, dipende oggi dalla prossimità (81%), dalle leve del retailing mix (ampiezza assortimentale, orari di apertura, facilità di accesso: 38%), dalle caratteristiche del personale di vendita (professionalità, competenza e relazione di fiducia: 33%)
• E-commerce: rispetto al 2019, l’utilizzo dell’online da parte dei frequentatori della farmacia è salito dal 4 al 16%. «La metà degli shopper oggi è multicanale e alterna agli acquisti in farmacia la spesa in parafarmacie e corner della gdo, frequentati dal 21% degli acquirenti, così come nel canale online».
• Programmazione degli acquisti elevata: nel 2019 nasceva in farmacia il 26% degli acquisti, grazie anche al cross selling e alle modalità di esposizione e allestimento adottate dai singoli punti vendita (in collaborazione con l’industria). Oggi invece gli acquisti non programmati sono il 6,7% del totale, il 4,7% se ci riferiamo alla sola automedicazione. «Lo shopper che entra in farmacia è meno aperto ad acquisti non programmati, almeno a livello di categoria, e probabilmente il farmacista ha più difficoltà a proporre il prodotto aggiuntivo e complementare». Quando l’acquisto è programmato, inoltre, la marca recita un ruolo prevalente: tra otc e integratori solo il 24% degli acquisti ha il marchio definito nel punto vendita, scelto in prevalenza con il supporto del farmacista».
Una volta cessato lo stato di emergenza, allora, quali cambiamenti affioreranno nelle abitudini del consumatore della farmacia? «Questi due anni di pandemia hanno graffiato» è la valutazione di Paolo Bertozzi, partner e socio fondatore di TradeLab «gli italiani torneranno a lavorare in presenza ma lo smart working resterà per molti, quindi la ridistribuzione della domanda che si è verificata durante l’emergenza tra farmacie dei centri direzionali e farmacie delle aree residenziali permarrà anche dopo, in parte più o meno estesa».
Difficile poi che chi ha sperimentato in questi due anni online e home delivery torni integralmente agli acquisti fisici. «I consumatori approfitteranno certamente della possibilità di tornare a frequentare le farmacie senza restrizioni» osserva Bertozzi «ma il mondo dell’online ha lasciato il segno. Il digitale, oltre a rappresentare con l’e-commerce un canale alternativo e concorrente alla farmacia, ha un impatto indiretto sui percorsi di acquisto dei consumatori e quindi sulla programmazione della spesa. La farmacia fisica recupererà senz’altro la capacità di stimolare gli acquisti non programmati, ma dovrà anche essere in grado di generare valore nella visita e “riconquistare” i consumatori. Si dovrà tornare a lavorare sul consiglio e dunque sul personale, ma anche su tutte le leve dell’in-store marketing».
Sarà importante anche conservare alcune novità ed esperienze maturate con la pandemia. «La digitalizzazione caratterizzerà in modo crescente tutto il mondo della salute» avverte Bertozzi «e non si tornerà indietro. I farmacisti quindi dovranno servirsene per rafforzare e dare continuità alla relazione con il cliente e attirarlo in farmacia, perché altrimenti sarà vincente il canale elettronico». Anche sui servizi l’emergenza sanitaria è stata un vero punto di svolta. «Tamponi e vaccini sono stati il primo vero caso di realizzazione pratica della Farmacia dei servizi» ricorda Bertozzi «i farmacisti hanno dovuto affrontare e risolvere problemi organizzativi complessi, che hanno portato esperienza, i consumatori invece hanno scoperto che la farmacia è un’alternativa praticabile ed economicamente competitiva rispetto alle strutture sanitarie. Starà alle farmacie sapersi organizzare su altri servizi come diagnostica e telemedicina, e soprattutto comunicare efficacemente l’offerta».
Condivide l’idea che il consumatore del post-pandemia non tornerà immediatamente ai riti di un tempo anche Davide Cavalieri, fondatore e ceo di Cavalieri Retail, azienda italiana specializzata nella ricerca, consulenza e formazione in ambito retail. «Gli italiani ci metteranno un paio di anni a metabolizzare quest’esperienza e riabbracciare il piacere di comprare» spiega a Pharmacy Scanner «e sarà soprattutto l’eliminazione delle mascherine a sancire la ritrovata libertà: finché rimarranno non sarà davvero shopping, la multisensorialità viene ammazzata».
Torneranno in tutto il retail gli acquisti maturati nel punto vendita (fino al 2019 erano in media il 70% del totale) ma, avverte Cavalieri, dall’esperienza pandemica i clienti si porteranno con loro una nuova gerarchia dei bisogni. «L’emergenza ha graffiato» osserva «ancora per diverso tempo quindi gli italiani conserveranno l’abitudine di acquistare prima per i loro bisogni essenziali e soltanto dopo per appagamento o piacere. In altri termini, prima la razionalità e poi la fantasia». Lay out e assortimento dei punti vendita andranno quindi ripensati di conseguenza. «Faccio il paragone un po’ profano con i negozi di vernici» suggerisce Cavalieri «che nei primi scaffali tengono i prodotti per le emergenze casalinghe, come antimuffa e articoli per la cura della casa; i colori e le vernici invece stanno in corsie un po’ più defilate, in modo da consentire al cliente di indugiare tra tonalità e combinazioni».
Nell’immediato “dopo-pandemia”, quindi, i retailer dovranno organizzarsi per prendersi cura del cliente. «Dovranno dotarsi di persone che accolgano il cliente e lo assistano nella scelta dei prodotti che rispondono ai suoi bisogni prioritari» conferma Cavalieri «anche per fare la differenza con internet: l’online consente di trovare velocemente soluzioni ma senza competenze che supportino nella scelta, il retail fisico deve dare consiglio. Chi troverà il modo per farlo, acquisirà molti nuovi clienti».
Esprime lo stesso concetto Luigi Corvi, presidente del Gruppo cosmetici in farmacia di Cosmetica Italia, che Pharmacy Scanner ha raggiunto per un commento sull’ultima Indagine congiunturale dell’associazione: «Negli ultimi due mesi tamponi e vaccini sono costati alla cosmetica in farmacia una perdita di quasi 8 punti percentuali» spiega «è un prezzo che andava pagato per la prevenzione degli italiani ma ora che la fine dell’emergenza è all’orizzonte bisogna che i farmacisti tornino a focalizzarsi sulle attività tradizionali, sul consiglio non soltanto del farmaco ma anche dell’extrafarmaco».
Potrebbe essere più facile a dirsi che a farsi secondo Sergio Monsorno, chief executive officer di C2C-Close To Consumer, società di Gi Group specializzata nel field marketing per le aziende dell’industria e della distribuzione. «Da quando la domanda di tamponi e vaccini ha raggiunto il picco» osserva «le farmacie hanno ridotto pesantemente giornate promozionali e formazione. E soprattutto hanno smesso di ricevere gli agenti dell’industria». E la tendenza, continua Monsorno, persiste anche ora che «la domanda di antigenici e vaccinazioni si è ridotta verticalmente: le farmacie sono vuote e gli ingressi scarseggiano, sarebbe il momento di cominciare a mettere in campo iniziative di loyalty e drive to store, invece la maggioranza dei farmacisti rimane inerte, attende passivamente chissà cosa, con i magazzini semivuoti. E’ come se avessero paura di disturbare il cliente, di comunicare con lui perché potrebbe infastidirsi».
Invece, sarebbe questo il momento per rimboccarsi le maniche e recuperare ingressi, visto che le ricerche sembrano concordi nell’affermare che tamponi e vaccinazioni hanno fatto perdere una parte della normale clientela tradizionale. «Occorre che i farmacisti rivitalizzino la capacità di servizio» è il consiglio di Monsorno «con il duplice obiettivo di accrescere la spesa dei clienti che sono rimasti e riportare in farmacia almeno una parte di quelli che ai tempi dei tamponi sono andati altrove o si sono buttati sull’online. E’ certo che, da sole, queste persone non torneranno».