Corvi (Cosmetica Italia): tamponi come le ricette negli anni ’80, ora ri-focalizziamoci su cura e salute

Interviste

Il mercato della farmacia comincia il nuovo anno con passo deciso ma lascia indietro il paniere del cura persona, che nelle prime due settimane del 2022 perde su base annua l’8,8% a valori e il 5,1% a volumi (con il dermocosmetico a fare da zavorra, -12,4 e -11,9% rispettivamente). Considerato che il comparto aveva mostrato le stesse incertezze già nel 2021, chiuso con un incremento a valori di appena lo 0,8% e una contrazione delle confezioni vendute del 3,4%, si può dire che ci siano segnali a sufficienza per far scattare l’allarme: c’è la personal care tra le “vittime collaterali” dell’emergenza tamponi che tra dicembre ed epifania ha monopolizzato attenzione e lavoro di buona parte delle farmacie del territorio? Tra chi propende per il sì c’è Luigi Corvi, farmacista e presidente del Gruppo cosmetici in farmacia di Cosmetica Italia, che analizza per Pharmacy Scanner quanto sta accadendo al mercato.

Presidente, i dati che arrivano da Iqvia invitano a mettere sotto attenzione il segmento del cura persona. Qual è la sua valutazione?
Ci sono segnali inequivocabili, oggi nelle farmacie c’è un problema di focalizzazione. Io lo vedo anche nelle attività formative che proponiamo: da quando sono scattate le norme sul green pass, nell’ottobre scorso, il tempo che il farmacista dedica all’aggiornamento è sceso radicalmente. Così come è scesa l’attenzione verso il consiglio e l’assistenza, così come l’accoglienza e l’ascolto. Per non parlare delle giornate a tema.

 E alcuni segmenti di mercato ne risentono più di altri?
Più giusto dire che si generano differenze significative di performance tra le farmacie; gli esercizi che fanno tamponi a ciclo continuo, anche 200-300 al giorno; quelli che invece limitano l’attività ad alcune ore della giornata, magari con prenotazione, e non ne fanno più di 50, e infine le farmacie che hanno deciso di non fare tamponi. Il fatto è che gli antigenici generano traffico, ma quasi mai acquisti. Sono come la ricetta rossa negli anni ’80: la gente entrava per il farmaco mutuato e poi se ne usciva.

Secondo lei i farmacisti titolari che fanno tamponi in grandi volumi stanno perdendo una parte della loro clientela tradizionale?
Non lo escludo, di certo c’è una perdita di focalizzazione. Ed è arrivato il momento di guardare al burn out, ossia l’esaurimento da stress lavorativo: nel canale c’è da tempo un crescente problema di personale, il rischio che ci sia una fuga di collaboratori per demotivazione e disamoramento deve preoccupare. Di recente un farmacista mi ha detto che la sua farmacia ha ricevuto a dicembre più di novemila telefonate, e di queste a duemila non è riuscito a rispondere.

Come se ne esce?
Recuperando un atteggiamento positivo e propositivo: comunque in questi mesi la farmacia ha assunto un ruolo centrale per tantissime persone, è cresciuta la presenza dei giovani ed è aumentata l’attenzione per la salute. Ci sono tutti gli elementi, quindi, perché il farmacista si proponga a un pubblico ancora più ampio e motivato come un consulente affidabile e preparato. Ma serve metodo e una gestione più razionale dell’attività: le settimane a cavallo tra anno vecchio e nuovo sono state provanti, ora occorre recuperare la nostra focalizzazione su cura e salute.

 

 

 

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