Cergas: una survey sul rapporto mmg-farmacista svela criticità e distanze

Filiera

È possibile, e come, realizzare un’integrazione tra medico di medicina generale e farmacista? La domanda se l’è posta anche il Cergas della Sda Bocconi school of management, che ha effettuata una survey i cui esiti – presentati da Stefano Perfetti, coordinatore del progetto “Farmacia: presidio del territorio”, e Arianna Bertolani – offrono interessanti riflessioni. L’obiettivo della ricerca era cogliere sia criticità, sia possibili rimedi, per elaborare un modello d’integrazione interprofessionale tale da consentire di migliorare l’aderenza del paziente cronico.

Una premessa è d’obbligo: in Italia ci sono 24 milioni di cronici, di cui 8 milioni bisognosi d’assistenza continua (visite, esami, follow-up) e 3,8 milioni addirittura non autosufficienti, destinati tutti ad aumentare progressivamente per l’invecchiamento della popolazione, con un costo, per la spesa sanitaria legata alla cronicità, che si aggira sui 67 miliardi di euro. È proprio qui che si evidenzia il problema della scarsa aderenza terapeutica, la cui soluzione però non può prescindere dalla collaborazione medico-farmacista.

Vediamo, in estrema sintesi, i dati emersi dalla ricerca Cergas. Innanzitutto, l’80% di mmg e farmacisti intervistati dichiara che una partnership tra le due professioni rappresenterebbe per il paziente un valore aggiunto, e questo sia per la capillarità delle farmacie, sia per l’abituale contatto con il malato e il suo caregiver, sia per il supporto operativo. In particolare, all’unanimità medici e farmacisti propongono di sviluppare linee-guida condivise e al 95% richiedono la presenza di un farmacista nella progettazione e implementazione dei percorsi sanitari. Questi poi i servizi da sviluppare: l’informazione, il supporto nella modalità di assunzione del farmaco e l’invio di promemoria per ricordare il rispetto della terapia.

Tra le criticità, invece, gli intervistati indicano la mancanza di un quadro normativo che definisca competenze, funzioni e remunerazione. Stigmatizzano poi la lentezza regionale e l’assenza di una standardizzazione dei servizi e delle infrastrutture digitali (per esempio, lo scarso utilizzo del fascicolo sanitario elettronico). Criticità che per il 70% degli intervistati vengono superate quando il paziente indica una farmacia di riferimento, con la quale stabilire un rapporto fiduciario. In pratica, bisogna allora condividere le informazioni cliniche e terapeutiche, cioè le prescrizioni, il monitoraggio, gli eventuali eventi avversi e le interazioni, oltre a definire un’adeguata remunerazione, che viene prevista per i servizi di supporto dal 95% degli intervistati.

Dall’indagine emerge così che la presa in carico di un paziente cronico richiede il coinvolgimento anche del farmacista, in una collaborazione a 360° con il medico, tale da integrare le attività interprofessionali con il sistema sanitario regionale. È così – nostra riflessione – che si realizza una capillare assistenza territoriale – e non certo con le case di comunità, una ogni 40-50.000 abitanti – in grado di realizzare quella prima trincea sanitaria capace di contenere l’onda d’urto di una pandemia, che purtroppo è mancata con il Covid-19.

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