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Carenza personale: dal Rapporto Alma Laurea la misura della “fuga” dalla farmacia

Filiera

Per mettere in ordine di priorità le concause all’origine della carenza di personale laureato con cui oggi devono fare i conti le farmacie potrebbero bastare quattro numeri. Presi tra i tanti che arrivano dai Rapporti annnuali di Alma Laurea (il consorzio interuniversitario che riunisce 80 atenei italiani) su profilo e occupazione dei laureati. Nel 2022, dice l’ultima analisi (presentata una settimana fa), ha trovato lavoro l’84,7% dei farmacisti che ha conseguito da un anno la laurea. E di questi il 52,7% lavora nel comparto del commercio, cioè farmacia, parafarmacia, corner gdo e altro ancora. Nel 2013, invece, i farmacisti che avevano trovato occupazione a un anno dalla laurea erano il 54,3%, e di costoro lavorava nel commercio il 66,3%.

Al di là delle differenze numeriche (nel 2013 i laureati con un anno di anzianità erano poco più di 3.500, nel 2022 quasi 4.700) i dati sembrano porre con evidenza un problema di “vocazione”: nonostante la domanda di personale sia elevata, dice il giusto chi sostiene che il lavoro al banco non attira più come un tempo. Confermano i dati del consorzio interuniversitario sugli occupati a cinque anni dalla laurea: nel 2022 i farmacisti che lavorano sono il 90,3% (nel 2013 erano l’84,5%), di costoro ha trovato occupazione nel commercio il 52,1% (nel 2013 erano il 70,8%).

Dove sono andati gli altri? Per esempio nell’istruzione e nella ricerca (nel 2022 sono l’11,1% a un anno dalla laurea e l’8,5% a cinque, nel 2013 erano rispettivamente il 2,8 e il 3,6%). Oppure nell’industria: erano il 9,9% del 2013 (a un anno dalla laurea) nel 2022 sono il 25,5%. Anche la retribuzione non è più quella di dieci anni fa: a cinque anni dalla laurea, dice il Rapporto, il farmacista percepisce un mensile netto medio di 1.640 euro, nel 2013 si fermava a 1.365.

Difficile invece trarre dai dati di Alma Laurea una misura dell’altro fenomeno del momento, ossia l’avanzata delle partite iva in camice bianco. Una settimana fa Pharmacy Scanner aveva parlato di casi in progressivo aumento e aveva riportato l’esperienza di uno di questi farmacisti, che si era licenziato dalla direzione tecnica di una farmacia per abbracciare la libera professione. Secondo il Rapporto Alma Laurea, i farmacisti che nel 2022, a cinque anni dalla laurea,  risultano occupati in attività in proprio sono il 6,5%. Ma è un dato pressoché privo di valore perché non comprende soltanto gli autonomi ma anche i titolari di ditta individuale e altre categorie.

Resta in ogni caso la sensazione che – dopo l’apertura della titolarità al capitale – la farmacia italiana si stia avvicinando a quella inglese anche nella struttura dell’occupazione. Nel Regno Unito, infatti, il farmacista che all’impiego fisso preferisce il lavoro autonomo è una figura ben radicata nel comparto della farmacia. Secondo le statistiche, i “locum” (ossia i collaboratori in regime libero-professionale) rappresentano oggi il 27% della forza lavoro totale e formano un universo estremamente eterogeneo: le ricerche che hanno provato a indagare sui motivi per cui viene scelto questo genere di occupazione hanno sempre raccolto narrazioni ed esperienze personali che trovavano la sintesi in considerazioni sulla flessibilità di questo tipo d’impiego, riassumibile nella formula «lavoro quando e dove voglio».

È anche vero però che le tipologie di collaborazione cui si orientano i locum è tutt’altro che uniforme: ci sono quelli che preferiscono cambiare spesso farmacia e coprire assenze o ferie dei dipendenti a tempo indeterminato, quelli con una specifica specializzazione che curano l’avvio di un nuovo reparto della farmacia, quelli che rimangono nella stessa farmacia e di fatto sono lavoratori a tempo indeterminato, ma preferiscono comunque la libera professione.

E ancora: c’è il locum che ha scelto tale attività per desiderio di contatto sociale, quello che vuole coltivare le proprie competenze professionali, chi non ama la burocrazia e lo stress da scartoffie, chi vuole maturare una certa specializzazione. E anche chi bada principalmente ai soldi: la paga oraria di un locum, secondo un sondaggio condotto all’inizio di quest’anno dalla rivista Chemist&Druggist, si aggirerebbe in media attorno alle 33,30 sterline, ossia 40 euro, con punte sino a 50 sterline e oltre. Merito soprattutto della carenza di farmacisti che si registra anche da quelle parti, visto che prima della pandemia i salari rimanevano sotto i 25 euro per ora.

È una curva che, dovesse persistere questo scarto tra domanda e offerta di personale, rischia di decollare anche in Italia? Emanuele Mormino, editorialista di Pharmacy Scanner e founder di Pharmaway, mette le mani avanti. «Le farmacie italiane hanno bisogno di collaboratori a tempo pieno, non di locum. Questi sono senza dubbio farmacisti con ottima esperienza e grandi capacità, ma la stragrande maggioranza delle farmacie non ha bisogno di tappare i buchi che si generano per assenze o ferie, è sotto organico e ha bisogno di assumere».

È anche vero comunque, come diceva la settimana scorsa a Pharmacy Scanner il farmacista in incognito, che molti titolari mostrano scarso entusiasmo all’idea di ricorrere a un locum. «In farmacia il collaboratore a partita iva mette a disagio, il titolare avverte una precarietà che non gradisce: preferisce avere un dipendente fisso da utilizzare dove serve; per essere utilizzata, una risorsa libero-professionale richiede pianificazione e programmazione, non tutti i titolari sono in grado».

Sbagliato, osserva Mormino, anche insistere sulla questione economica. «Oggi ormai, un giovane farmacista che ha superato il periodo di prova e si dimostra capace, trova retribuzioni che vanno dai 1.800 ai duemila euro. Il problema che più di tutti tiene lontani dalla farmacia tanti laureati è la conciliazione lavoro-vita privata. I turni serali e i week end scoraggiano tanti. Per questo dico che dove i farmacisti ancora non fanno abbastanza è nell’ascoltare i loro collaboratori e curare l’organizzazione, Lo dico senza giri di parole: quasi nessuno fa colloqui con il proprio team per capire le loro esigenze e quelle delle loro famiglie. Questo è una mancanza che oggi non ci si può più permettere».

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