Boots alza il sipario sulla sua farmacia “ammiraglia”. Le valutazioni degli esperti

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Smontate le impalcature, tornati a casa muratori e imbianchini, spariti pallet e scatoloni. Non c’è più cantiere attorno alla farmacia Boots di viale Fulvio Testi a Milano, la prima a recare sull’insegna il marchio di Wba. La ristrutturazione è terminata, format e lay out del “flagship store” (l’ammiraglia del gruppo) non sono più nascosti e così noi di Pharmacy Scanner siamo tornati a visitarla. Per scattare qualche altra foto (in aggiunta a quelle già prese a cantiere ancora in corso) e lanciare un piccolo “gioco”: abbiamo inviato le immagini per e-mail a una ristretta cerchia di esperti e addetti ai lavori perché le “leggessero” a beneficio dei nostri lettori. Non per affibbiare voti o giudizi, ma per aiutare la vasta platea dei farmacisti titolari a capire con quale tipo di “concorrente” dovranno nel tempo confrontarsi.

 

 

Partiamo allora dall’esterno e dall’insegna della farmacia, la prima in Italia – come si diceva – a esporre il brand di una catena di proprietà. «E’ evidente» commenta Nicola Posa, senior partner di Shackleton Consulting «che Wba comincia già dalla strada a parlare al cliente. Sulla sua insegna c’è una promessa – quella di un format che unisce trasversalmente “farmacia” e “beauty” – e questa promessa viene poi mantenuta all’interno. E c’è una strategia di brand: il logo Boots come “traît d’union” tra i due canali, logo che sarà certamente il perno della comunicazione a venire». «E’ un format del tutto nuovo» osserva Giulio Cesare Pacenti, consulente di marketing della farmacia «che enfatizza espressamente l’area del senza ricetta. Si è aperto un nuovo capitolo».

 

 

Questa contaminazione tra canali si ripresenta all’interno senza però disorientare il cliente. «Lo spazio è organizzato in modo pulito e razionale» riprende Posa «non c’è sovraccarico, non si vedono espositori da terra, niente nella comunicazione è lasciato al caso. E tutta la disposizione del punto vendita è studiata per invitare il cliente a girare. In altre parole, chi entra non è spinto direttamente al banco ma viene invogliato a scoprire cosa c’è al di là di gondole e scaffali. Tutto trasmette un forte impulso al self-service». Per Francesco Cavone, associate director Supplier services di Iqvia, il richiamo con il modello Boots anglosassone è evidente: «All’ingresso l’apparenza è più vicina a quella di un beauty shop» è la sua valutazione «siamo senz’altro di fronte a una farmacia dall’impronta internazionale, sarà molto interessante vedere come verrà accolta dal consumatore italiano».

 

 

Di forte impatto anche la comunicazione in-store: «Il category è pulito, leggibile» osserva Pacenti. Posa, invece, invita a osservare soprattutto la comunicazione delle promozioni. «I prezzi non sono scritti a mano su fogli A4» avverte «né su stampate uscite dal gestionale. E’ evidente che dietro a questi banchetti delle offerte c’è una strategia comunicativa che mira a dare un’idea di gamma e di prezzo basso. E il fatto che i cartelli inferiori siano orientati in modo differenziato, alcuni direzione nord-sud e altri est-ovest, nasce quasi certamente dal desiderio di spingere il cliente a girare, a esplorare gli spazi. Sia chiaro, queste come le precedenti sono cose che la gdo faceva già 15 anni orsono, ma il modo in cui Boots le ripropone oggi è di primo livello».

 

 

Anche dal reparto beauty arrivano segnali che meritano di essere letti. «I cartelli delle discese e i visual sottostanti» spiega Posa «inducono a ritenere che Boots intenda lavorare in modo molto stretto con i brand. Dicevo prima che mancano del tutto gli espositori delle aziende: le discese del reparto Beauty fanno però capire che la catena vuole fare squadra con l’industria di marca, anche se alle proprie condizioni e negli spazi che deciderà. E sono sicuro che Boots sarà molto brava a negoziare». «Si osserva però anche una forte enfasi sulla marca privata» è la lettura di Pacenti «la mia valutazione è che si tratta di una scelta strategica anche per la sostenibilità del conto economico. Questa farmacia ha una “taglia” che dovrebbe consentirle di battere anche 400-500 scontrini al giorno».

 

 

Il banco dell’etico, che per funzione appartiene più profondamente alla parte “farmacia” del punto vendita, appare invece raccolto. «Rientra nello spirito del brand Boots» commenta Posa «anzi, direi che riprende linearità e razionalità del resto dell’ambiente ma con una tonalità ancora più “fredda”. Ecco, se devo trovare una definizione, direi che siamo in una farmacia improntata a un retail razionale e professionale; il farmacista titolare che vuole esplorare altre strade, potrebbe puntare in antitesi su un modello di farmacia votato al consiglio e al “calore”». «Linearità e freddezza sono le due parole più corrette» conferma Cavone «colpisce anche la totale assenza di soluzioni digitali per il cliente omnichannel. Può darsi che più avanti arriveranno anche quelle, ma la mancanza dà da pensare». Non c’è traccia neanche di scivoli da magazzino automatizzato, osserva Posa. «Dietro alla zona casse vedo soltanto cassetti. Per i farmacisti titolari, è un bell’elemento di riflessione». «L’assenza di robot è una nota “old style” che attira l’attenzione» conferma Pacenti «invece il display abbatti-code dà un’impronta di efficienza che in quest’area non guasta. Ma tutta la zona del banco si caratterizza per uno stile sobrio e minimalista. Siamo lontani anni luce dalle tendenze di design di buona parte dei nostri arredatori».

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