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Vendere a una catena: i consigli degli esperti per evitare sorprese dopo il preliminare

Filiera

Man mano che le catene del capitale comprano farmacie (ormai sono circa il 4% del totale, secondo una recente stima di Iqvia), crescono i farmacisti che raccontano storie di trattative concluse amaramente per il titolare che vende: perizie giurate successive al preliminare che abbassano il prezzo di vendita, clausole varie e garanzie che finiscono per cambiare le cifre sul piatto, sempre a svantaggio di chi lascia. Tra le righe si lascia intendere che dall’altra parte c’è qualcuno che gioca “sporco”, ma se si vanno a verificare storie e lamentele con gli addetti ai lavori la realtà che emerge è un’altra: «Difficile che ci siano catene che mettono a segno colpi sotto la cintura, anche se non si può escludere a priori» dicono a Pharmacy Scanner i commercialisti bolognesi Marcello Tarabusi e Giovanni Trombetta «piuttosto, è vero che nella maggior parte dei casi in cui il farmacista titolare si è trovato con qualche sgradita sorpresa a trattativa avanzata, è perché ha sottovalutato alcune condizioni negoziali o non ha saputo prevederne gli effetti, innanzitutto per inesperienza».

Prima che arrivassero le società di capital, spiegano i due esperti, le compravendite di farmacie rimanevano nel recinto della professione e quindi si negoziava tra pari, cioè tra giocatori che nel tempo avevano codificato ritualità e linguaggi propri. «Oggi invece» proseguono Tarabusi e Trombetta «le cose sono cambiate e dall’altra parte del tavolo c’è un interlocutore che è abituato a trattare sulla base di veri contratti di cessione d’azienda, con tutte le clausole e le modalità che li caratterizzano».

Il primo consiglio che i due rivolgono ai farmacisti che si accingono a vendere, quindi, è di farsi assistere nelle trattative da un consulente che abbia una solida esperienza in questo genere di contratti. E conosca le regole del gioco: «Per esempio, occorre sapere che ormai le società di capitale prima ti fanno firmare il preliminare e quindi procedono alla due diligence». In particolare, è prassi che alla firma del preliminare venga chiesto al titolare di rilasciare una serie di dichiarazioni e garanzie: sulla consistenza dell’attivo e del passivo, sulla regolarità fiscale contributiva, sull’assenza di passività occulte, sulla presenza di tutti i titoli e le licenze previsti per legge e così via. «Se la due diligence appura che una di queste dichiarazioni è stata rilasciata con troppa leggerezza» avvertono Tarabusi e Trombetta «ed emergono – per esempio – debiti non contabilizzati o licenze mancanti, l’acquirente si rivale sul prezzo di vendita, come è del tutto legittimo è usuale. È il titolare che vende (e soprattutto il professionista che lo assiste) che deve verificare attentamente se quelle dichiarazioni e quelle garanzie possono essere rilasciate: se ci sono problemi o irregolarità è molto meglio parlarne apertamente e con lealtà piuttosto che nasconderle sotto il tappeto».

«Uno dei casi più ricorrenti» interviene Pierluigi Mariano, direttore generale di Federfarma Milano «riguarda gli immobili che sono collegati alla farmacia, come i muri della sede o l’ambulatorio medico al piano di sopra. Nel preliminare l’acquirente fa cenno a una perizia giurata successiva, che confermi la valutazione iniziale. E quando la perizia arriva, abbassa la prima stima e ridimensiona il prezzo pattuito. Attenzione anche alle garanzie che l’acquirente richiede nel preliminare su regolarizzazioni dei contributi e del personale: il rischio è che alla fine il prezzo di vendita venga rivisto verso il basso».

Può capitare lo stesso a proposito dei contratti con fornitori e consulenti: «La società acquirente inserisce nel preliminare una clausola con cui si riserva di disdire gli accordi sottoscritti da chi vende» confermano Tarabusi e Trombetta «con la possibilità che eventuali penalità sulle rescissioni anticipate vadano a gravare sul prezzo di vendita. Sia chiaro però: stiamo parlando di clausole perfettamente legittime, è il titolare che vende a dover fare attenzione».

Il consiglio da rivolgere ai farmacisti, quindi, è di non farsi prendere dalla precipitazione e non rinviare a un secondo tempo le valutazioni più importanti. «Chi compra conosce bene i titolari e sa quindi che un’offerta basata su un multiplo generoso può “ingolosire” e accrescere la fretta di chiudere» osservano i due commercialisti bolognesi «invece è meglio mettere a punto un preliminare il più completo possibile, anche a costo di impiegarci un po’ di tempo in più, per rinviare a dopo soltanto quello che si può valutare in base a parametri oggettivi». «Meglio che nel preliminare sia pattuito a chiare lettere tutto quello che si può pattuire» aggiunge Pierluigi Mariano «oppure si rendano trasparenti tutte le valutazioni a venire, che possono incidere sul prezzo di acquisto finale».

Attenzione in particolare alle clausole riguardanti l’aggiustamento prezzo: «Sono specifiche regole contrattuali» ricordano Tarabusi e Trombetta «che contemplano variazioni della somma concordata inizialmente sulla base di parametri predeterminati. Sono generalmente di due tipi: basate sulle variazioni della consistenza dell’attivo e del passivo tra la data del preliminare e la data del rogito di vendita; oppure basate sul raggiungimento(o mancato raggiungimento) di specifici risultati aziendali come l’ebitda entro un periodo concordato. Le prime sono usuali e il titolare deve soltanto ricordarsi che il prezzo finale non è dato esclusivamente dal valore dell’avviamento ma anche dalla somma delle altre attività e passività: magazzino, debiti verso banche, fornitori e fisco eccetera. Le altre clausole sono meno tipiche e generalmente vengono inserite dall’acquirente quando ritiene che l’ultimo fatturato disponibile potrebbe non essere rappresentativo delle reali potenzialità dell’azienda; oppure perché nell’ultimo esercizio il titolare ha “gonfiato“ il cassetto nella speranza di alzare il prezzo. Ma la regola è che chi compra è quasi sempre meno “ingenuo” di quanto crede colui che vende».

È anche importante, infine, che i farmacisti si liberino della volubilità che talvolta li caratterizza nelle fasi preliminari. «Capita che qualcuno firmi il preliminare e poi ci ripensi, magai perché nel frattempo ha ricevuto offerte migliori» osservano Tarabusi e Trombetta «al riguardo si possono fare due avvertimenti: primo, è ormai frequente che alla firma del preliminare il compratore anticipi una parte rilevante del prezzo pattuito, romperlo può quindi esporre chi vende a penali non indifferenti; secondo, in passato ci sono state catene che andavano dai farmacisti già impegnati da un preliminare e promettevano il 20 o il 30% in più di quanto pattuito dal competitor. Il farmacista firmava con loro e poi, tra clausole e perizie, il prezzo finale si rivelava addirittura inferiore al precedente. Vale quanto detto prima: non avere fretta e scegliere prima a chi vendere e solo dopo a che prezzo».

 

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