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Bertozzi (TradeLab): al via laboratorio per esplorare il pianeta “giovani farmacisti”

Filiera

Il mondo è bello perché vario. Vale oggi ancora più di ieri e soprattutto per le giovani generazioni, così difficili da “leggere” quando si tratta di cogliere i valori e le aspirazioni con cui si affacciano sul mondo del lavoro. La farmacia, alla pari di molti altri comparti, lo sta sperimentando sulla propria pelle ed ecco allora che da TradeLab, la società milanese di analisi e consulenza operativa, arriva il progetto Generation Next, il primo laboratorio rivolto all’esplorazione del pianeta “giovani farmacisti”. Cerchiamo di capirne di più con Paolo Bertozzi, socio fondatore e partner di TradeLab.

Bertozzi, con Generation Next aprite un laboratorio dove a partecipare sono soltanto i giovani farmacisti, che discutendo e confrontandosi sui temi della farmacia di oggi faranno capire opinioni, orientamenti e preferenze delle loro generazioni. Prima domanda: perché?
Quando si studiano i fenomeni sociologici l’appartenenza generazionale conta. Il fatto però è che approcci e pensieri dei giovani farmacisti di oggi sono sì peculiari rispetto a quelli dei colleghi più anziani, ma tendono a sfuggire alle generalizzazioni. Siamo di fronte a una “liquidità” che alcuni studiosi hanno già evidenziato e che mette in crisi i tentativi di classificazione sociologica e conseguentemente anche le segmentazioni del marketing. Gli individui, in sostanza, sono oggi mutevoli nei comportamenti e se gli “stili di vita” avevano in passato soppiantato le “classi sociali” come chiave di lettura per definire gruppi “stabili”, oggi anche questi non sembrano più adeguati a fornire interpretazioni e previsioni. La variabile età, in particolare, regge a livello generale per la comunicazione, perché chi appartiene alla medesima generazione vive lo stesso momento del ciclo di vita, ha condiviso le stesse esperienze ed è stato esposto a influenze simili. Ma se si vuole andare alla radice delle scelte e dei comportamenti bisogna fare un passo in più e ricercare gli interessi e le passioni, che non sono facilmente generalizzabili e riconducibili a caratteristiche comuni.

Sembrano riflessioni più da analisi dei modelli di consumo…
Valgono per consumi e consumatori ma anche per lavoratori e imprenditori. C’è un’aspirazione all’autorealizzazione che viene perseguita con una libertà di comportamento molto maggiore rispetto alle passate generazioni: i vincoli sociali pesano meno che in passato e anche il reddito perde la rilevanza di un tempo. Per i giovani di oggi andare a lavorare significa scegliere il lavoro e l’impresa più vicini ai propri valori e alle proprie “passioni”. O che lascia più tempo per esplorarle o coltivarli.

Per il mondo della farmacia questo cosa significa?
Questa “mutazione sociale” si incrocia con l’evoluzione del canale: sviluppo delle catene vs farmacie indipendenti e quindi lavoro dipendente vs apprendistato professionale; accresciuta rilevanza del comparto “commerciale” e concorrenza multicanale; orari prolungati di apertura (e turnazioni), modifica del sistema di remunerazione da parte del Ssn, sviluppo dei servizi, ricerca del proprio ruolo nell’ecosistema della salute sul territorio, per la farmacia e per la figura del farmacista territoriale. È un cambiamento che spinge i giovani a farsi domande profonde su ambizioni e prospettive, sull’attrattività del lavoro in farmacia e più in generale sul suo futuro.

Ma si sovrappone anche alla crescente rilevanza che per il cliente riveste il rapporto con la farmacia e il farmacista…
Dalla nostra indagine annuale sui processi e comportamenti d’acquisto dei consumatori/pazienti, rileviamo un crescente ritorno alla store loyalty, che si può ricondurre da un lato agli effetti lasciati in eredità dalla pandemia (smart working e centralità della farmacia), dall’altro ai programmi di fidelizzazione sempre più diffusamente adottati dalle farmacie. È opportuno sottolineare che ciò che qualifica tale fedeltà non è più solo la prossimità (anche perché nelle aree urbane dense i bacini di attrazione sono sovrapposti e la vicinanza diventa indifferente) ma appunto la distintività dell’offerta assortimentale (categorie, prodotti e servizi) le attività di marketing e la qualità del servizio, tutti fattori in stretta relazione con il team management.

Sotto questo aspetta si può dire che tra farmacie in catena e indipendenti ci siano differenze competitive?
Concettualmente non c’è un vantaggio delle une sulle altre o viceversa. Certamente occorreranno aggiornamenti o revisioni nella cultura manageriale, ma se da un lato le forme aggregate (catene e network) hanno sicuramente dei vantaggi nelle funzioni aziendali centralizzabili in termini di economie di scala, dall’altro la singola farmacia si avvale di un’agilità che la rete al momento fatica ad avere e che deve costruire (e gestire) attraverso soluzioni organizzative più articolate. Per tutti la parola chiave è “compliance”, vale a dire la capacità di rispettare gli accordi presi con i partner “esterni” (aziende) e “interni” (centrali di catene e network).. La speranza è che comunque ne scaturisca una competizione capace di produrre un continuo miglioramento dell’offerta a tutto vantaggio dei consumatori e delle stesse imprese, grandi e piccole.

Un farmacista delle ultime generazioni – nato nell’epoca del digitale, degli ipermercati e degli shopping village così come dell’e-commerce e di Amazon – sul rapporto tra professione e lavoro in una catena, la pensa come le generazioni più vecchie o ha un’altra visione?
Ciò che emerso dai nostri workshop realizzati con gruppi di farmacisti under 35 titolari (o familiari di titolari), direttori, collaboratori dipendenti e neolaureati, è una forte tensione o aspirazione a un ruolo centrale nella sanità territoriale o, come è stato detto, a essere «un protagonista del sistema di cure» con cui si integra attraverso un ampio utilizzo della tecnologia. In questo mi sembra di poter riconoscere un tratto abbastanza peculiare di questa generazione di farmacisti. Altra novità è l’aspirazione a fare “carriera” che esprimono i dipendenti di catene e network: se da un lato è figlia della consapevolezza di essere parte di strutture e meccanismi di natura aziendale, dall’altro è un’altra evidenza del disincanto con il quale i giovani guardano al proprio futuro (che per una parte di loro difficilmente contempla l’approdo alla titolarità). Allo stesso tempo questi giovani temono di essere messi “sotto assedio” dalla convergenza di fattori quali la crescente complessità burocratica, le nuove competenze necessarie a gestire la dimensione professionale del loro lavoro e infine gli imperativi di una sana gestione commerciale. Ma siamo soltanto nella prima fase esplorativa del progetto, nei prossimi mesi ci addentreremo nell’indagine con un campione rappresentativo di giovani farmacisti che ci aiuterà a verificare e a dimensionare istanze e aspirazioni per dare risposta alle quali catene, network e farmacie indipendenti – ma anche le stesse aziende fornitrici – sono in competizione tra loro. O in “coopetizione” orizzontale e verticale.

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