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Tamponi, la remuneratività dipende dall’organizzazione. E il cross selling non si addice

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Da qualche tempo la domanda che mi viene posta con maggiore ricorrenza dai farmacisti titolari è: «Conviene che mi metta a fare tamponi?». Io rispondo sempre: «Dipende, quanto sei organizzato?». Ritengo che la farmacia vada sempre vista come un’azienda, dunque per questo genere di decisioni è legittimo prendere a prestito una procedura tipicamente aziendale come l’analisi di tempi e metodi. In sostanza, quando si avvia una nuova attività bisogna prima scomporre sulla carta le fasi in cui si divide e organizzarle perché si possano gestire con la massima qualità ed efficienza.

Nel caso dei tamponi, la prima incombenza è data dalla raccolta delle prenotazioni: va concertata con il team della farmacia una procedura, possibilmente informatizzata, che consenta di contenere il tempo necessario al suo espletamento su valori ragionevoli. Stesso discorso per le due fasi successive, che riguardano l’operatività del servizio: applicazione del tampone e registrazione.

Con le farmacie che seguo, siamo tutti d’accordo sul fatto che la remuneratività del servizio dipende dai volumi, quindi dall’ottimizzazione dei tempi. Il cliente che entra in farmacia e chiede il tampone va registrato, paga (meglio una cassa separata dal banco dell’etico), si mette in fila, riceve il tampone e quindi esce; l’esito gli sarà notificato sullo smartphone (e inserito sulla piattaforma regionale) non appena sarà disponibile e, nel malaugurato caso di una positività, provvederà lui stesso a segnalarla al medico di famiglia e avviare la procedura del caso. Risultato, attese contenute all’estremo e permanenza dei clienti in farmacia ridotta al minimo, anche nel caso di quei pochi che richiedono l’esito su carta.

La stima del tempo medio che prende ogni prelievo – dall’ingresso all’uscita del cliente – servirà a calcolare quanti tamponi si riescono a fare in un’ora e quindi il ricavo orario, dal quale andranno ovviamente detratti il costo dei kit e dell’operatore. Raccomando di considerare in tale calcolo anche il costo della registrazione: se, per esempio, in un ora si riuscissero a fare 20 tamponi a 15 euro ciascuno, risulterebbe un incasso di 300 euro, dal quale detrarre il costo dei kit (circa 70 euro in totale) e il costo orario di due operatori (uno che si occupa del pagamento e della registrazione e l’altro che effettua i tamponi). Naturalmente possono entrare in gioco anche altri costi, per esempio quelli che discendono dall’affitto di un gazebo o altro ancora.

Tra le valutazioni da ponderare con accuratezza c’è l’impiego del personale della farmacia: ricordo sempre che le risorse interne vanno dislocate facendo attenzione a non mettere mai in crisi il banco, perché si andrebbe a penalizzare il servizio “core” della farmacia con effetti negativi sulla qualità. Al riguardo, uno dei dilemmi che sento più spesso riguarda proprio l’affollamento: se in farmacia ci sono code per il tampone, non rischio di intimorire gli altri clienti, quelli che vorrebbero entrare per spedire una ricetta o acquistare qualcosa? Direi di no, è ormai noto a tutti che chi chiede il tampone non lo fa perché teme di avere contratto il covid ma perché deve rinnovare il green pass. L’importante, quindi, è che il team sia distribuito in modo tale che i tempi di attesa del normale servizio al banco siano quelli di sempre.

Non concordo invece con chi ritiene che dai tamponi possano arrivare nuove opportunità per il cross selling. A parte il fatto che ritengo tale tecnica ormai del tutto superata, va considerato che proporre un prodotto/servizio aggiuntivo al cliente che ha appena ricevuto o sta per ricevere un tampone rappresenterebbe una forzatura spesso sgradita. Meglio piuttosto valutare altri strumenti di ingaggio e conversione, tenuto conto che il tampone offre l’opportunità di essere visitati da clienti che fino a quel momento si erano sempre rivolti a un altro punto vendita.

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