Sullo 0,65% ai distributori verso parere dal Ministero. Dubbi su generici e acquisti diretti delle farmacie

Filiera

Sulla spettanza dello 0,65% che la Legge di Bilancio riconosce ai distributori togliendola all’industria si fa sempre più probabile un intervento del ministero della Salute, un’interpretazione che chiarisca la corretta lettura da dare ai due commi (324 e 325) in cui si articola il provvedimento. Parrebbe l’unica strada percorribile per uscire dal polverone di pareri legali e valutazioni che da un paio di settimane a questa parte si è sollevato attorno alla disposizione e ai suoi effetti su produttori, grossisti e farmacie.

Aziende di generici divise sull’applicazione

Cresce in particolare il novero delle aziende di generici che comunicano ai distributori di non voler riconoscere a questi ultimi lo 0,65% sui farmaci generici che commercializzano. Come riportato da Pharmacy Scanner nelle scorse settimane, a schierarsi su tale posizione erano stati per primi alcuni piccoli genericisti, ora però la linea ha cominciato a essere condivisa anche dalle grandi aziende. Non tutte però, perché altre avrebbero invece deciso di riconoscere ai distributori la maggiorazione disposta dalla Manovra.

Le ambiguità interpretative del comma 324

La differenza di vedute nasce dalla formulazione non proprio cristallina del comma 324, che nell’introdurre i nuovi margini esordisce confermando «quanto previsto dall’articolo 11, comma 6, del decreto-legge 78/2010». Secondo i produttori che contestano lo 0,65%, questo testo può essere interpretato in due modi soltanto: o le nuove quote non si applicano ai farmaci equivalenti, sui quali rimangono in vigore i margini del decreto Abruzzo (58,6% all’industria e 3% alla distribuzione), oppure verrebbe a cadere la quota dell’8% che lo stesso Decreto Abruzzo riserva alla contrattazione tra grossisti e farmacie.

Considerata la predominanza di equivalenti che ormai si osserva tra i farmaci di fascia A (più del 90% delle confezioni consumate nel 2024 appartiene a questa categoria), è evidente che tale tesi trova contrari i distributori. Per tale motivo, le due associazioni che rappresentano le aziende del comparto, Adf e Federfarma Servizi, starebbero per inviare (o forse hanno già inviato) una richiesta al Ministero affinché intervenga con una circolare interpretativa che dissipi il polverone.

Un’interpretazione non definitiva

Anche l’industria attende con favore un intervento del Ministero, considerato che sono parecchi i dubbi generati da una disposizione cui manca il dono della chiarezza. Tuttavia, anche un eventuale intervento della Salute potrebbe non essere risolutivo: nella gerarchia della dottrina, infatti, l’interpretazione che arriva da circolari ministeriali  e atti amministrativi vari è subordinata  l’interpretazione giudiziale (Tar) e all’interpretazione autentica (Parlamento). Quindi, chi dovesse vedersi scontentato dal Ministro, potrebbe appellarsi ai Tribunali amministrativi e trasformar ela querelle in un’odissea.

Vendite dirette e il nodo dello 0,65%

Un altro aspetto critico riguarda le vendite dirette, dall’industria alla farmacia. Secondo il comma 325, lo 0,65% aggiuntivo spetta esclusivamente ai distributori e non è trasferibile ad altri soggetti della filiera. Ma cosa accade quando le farmacie acquistano direttamente dall’industria? Alcuni sostengono che questa percentuale debba comunque essere riconosciuta ai farmacisti che acquistano, perché la Legge di Bilancio dice che l’industria non può prendere più del 66%. Altri, inclusi i distributori, ritengono invece che negli acquisti diretti lo 0,65% debba restare al produttore, perché è incedibile alle farmacie. Una terza interpretazione, avanzata da qualche esperto con l’intento di evidenziare le ambiguità della disposizione, non esclude che alla fine la quota possa essere rivendicata dal Servizio sanitario nazionale, con trattenute in sede di rimborso. Fantascienza? Forse qualche Regione potrebbe lasciarsi sedurre.

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