Sullo 0,65% ai distributori primi ricorsi al Tar dei genericisti: «Quota da togliere all’8% di contrattazione tra grossista e farmacia»
Tutto come da previsioni: sarà la giustizia amministrativa a dire qual è la lettura da dare alla norma della Legge di Bilancio che sul farmaco rimborsato toglie uno 0,65% alla quota di spettanza dell’industria per darlo alla distribuzione intermedia. A chiamarla in causa i ricorsi con cui alcuni produttori di equivalenti (Teva Italia e Doc Generici, ma potrebbero essercene altri) hanno impugnato la nota dell’Aifa del 7 aprile scorso, che sulla disposizione (commi 324 e 325 della Manovra) forniva l’interpretazione più gradita ai distributori e più sgradita all’industria. E non solo quella: nei loro ricorsi, infatti, le due aziende tirano in ballo anche alcune delibere dell’Agenzia del farmaco risalenti a metà maggio – che applicano quanto indicato nella nota di aprile – così come le note di credito e le diffide inviate da alcuni distributori (Comifar, Unifarma, Spem e altri).
Il contenzioso si trascina da qualche mese ed è abbastanza noto: per i genericisti, la norma di cui ai due commi della Legge di Bilancio «si applica sicuramente ai medicinali originariamente coperti da brevetto», sui quali dunque le nuove quote di spettanza sono «66% per le aziende farmaceutiche, 3,65% per i grossisti e 30,35% per i farmacisti». Invece i medicinali equivalenti sarebbero esclusi, perché nel loro caso «continua a operare la normativa speciale dl 39/2009 (Decreto Abruzzo, ndr)», che fissava la quota industria al 58,65% del prezzo al pubblico e riservava un 8% alla negoziazione commerciale tra distributori e farmacie.
Al contrario, Aifa e distributori (così come chi quella norma l’ha in qualche modo ispirata, Federfarma) sostengono che la misura vale per tutti i medicinali, quindi sugli equivalenti la spettanza delle aziende dovrebbe scendere al 58%. I legali che difendono Teva e Doc Generici, invece, dissentono in base alla tesi che l’interpretazione della controparte andrebbe contro lo spirito originale del provvedimento: la ratio, infatti, è quella di riconoscere ai grossisti «uno strumento di sostegno economico-finanziario» sottraendo la maggiorazione dello 0,65% «al regime della scontistica riconoscibile agli attori della filiera a favore dei grossisti».
Se però si riconoscesse che sui generici la spettanza a favore dell’industria scende al 58%, si aggiungerebbe quello 0,65% alla quota dell’8% che il Decreto Abruzzo lascia alla libera contrattazione commerciale tra grossisti e farmacie, con il risultato di generare una disparità tra aziende produttrici. «La maggiorazione dello 0,65% destinata al grossista» si legge in uno dei ricorsi «ha infatti un impatto pari allo 0,98% sulla quota di spettanza (del produttore, ndr) in caso di medicinali originatori di classe A (0,65%/66,65%=0,98%). La medesima maggiorazione dello 0,65%, applicata alla quota di spettanza di un medicinale equivalente di classe A, impatterebbe in una misura maggiore, pari all’1,11% (0,65%/58,65%=1,11%)».
Per le ricorrenti, quindi, sulle spettanze della filiera relative al farmaco generico c’è una sola interpretazione plausibile per la norma della Legge di Bilancio, quella che conferma al 58,65% il margine di cui beneficia il produttore e toglie lo 0,65% destinato al distributore da quell’8% che il decreto Abruzzo lascia alla negoziazione commerciale (abbassandolo quindi al 7,35%). «In tale modo, la somma del 58,65%+7,35% garantirà il raggiungimento del 66% previsto dalla Legge Bilancio 2025». Inoltre, questa interpretazione sarebbe in linea con le finalità perseguite dal legislatore: «per un verso salva la maggiorazione dello o,65% ai grossisti, che è chiaramente la finalità specifica dell’intervento normativo; per l’altro, va ad impattare solo su un segmento del
prezzo al pubblico che la normativa speciale vigente già rimetteva alla libera contrattazione tra grossisti e farmacisti: e lo fa “proteggendo” un po’ di più i grossisti, in linea con la ratio legis
espressa dai due commi della Legge di Bilancio, riservando loro un ulteriore margine dello 0,65 per cento sul prezzo al pubblico non più assoggettabile alla contrattazione». Infine, è ancora la tesi delle aziende, «nulla spetta nel caso di vendite dirette alle farmacie: non è infatti possibile riconoscere un trasferimento di valore ad un soggetto della filiera (grossisti) che non è coinvolto nel processo di vendita».
Probabilmente non bisognerà attendere molto per avere un primo indizio di quale potrebbe essere l’orientamento del Tar: entrambe le aziende, infatti, hanno chiesto la misura della sospensiva per cautelarsi dai contenziosi che potrebbero insorgere con i distributori alla luce delle note di credito e delle diffide inviate da alcuni grossisti. Non resta che attendere.