Sentenza Ue, incompatibile la legge nazionale che vieta alle farmacie di fare pubblicità

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È contraria al diritto comunitario una norma nazionale che vieta alle farmacie ogni comunicazione al pubblico tranne che le informazioni relative a indirizzi e orari di apertura. È il principio sancito dalla sentenza C-200/24 del 19 giugno con cui la Corte di giustizia dell’Unione europea ha condannato la Polonia per aver adottato una legislazione che di fatto proibisce alle farmacie ogni genere di pubblicità, anche via internet.

Il caso nasce dalla procedura d’infrazione aperta dalla Commissione europea in seguito all’approvazione, da parte del governo di Varsavia, dell’articolo 94a della legge polacca sul diritto farmaceutico. In vigore dal 2012, la disposizione vieta «la pubblicità delle farmacie e dei punti di vendita farmaceutici e delle loro attività». Sono ammesse soltanto informazioni su orari e ubicazione e le sanzioni per i trasgressori arrivano fino a 50mila zloty (circa 12mila euro).

Secondo i giudici lussemburghesi la norma contrasta con l’articolo 8 della direttiva 2000/31/Ce sul commercio elettronico e con gli articoli 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’Ue (Tfue), che sanciscono la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi. In sintesi, i giudici della Cgue hanno accolto in toto le ragioni della Commissione ribadendo che «l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 impone agli Stati membri di consentire alle professioni regolamentate la comunicazione di tipo commerciale, purché nel rispetto delle regole professionali pertinenti». Ciò significa che uno Stato membro può disciplinare contenuti e modalità di tale comunicazione, non può invece vietarla del tutto.

Anche se il suo obiettivo è quello di proteggere la salute pubblica, osserva la Corte di giustizia Ue, il divieto generalizzato introdotto dalla Polonia è sproporzionato e va oltre quanto necessario. La legge polacca, infatti, non si limita a vietare la pubblicità dei farmaci soggetti a prescrizione (come peraltro prevede la direttiva 2001/83/Ce), ma impedisce ogni forma di promozione, anche delle attività sanitarie o di servizi utili come gli screening.

La sentenza al riguardo cita il caso emblematico di una farmacia che è stata sanzionata per aver promosso sul proprio sito una campagna gratuita per la misurazione della glicemia. «Un siffatto divieto» scrivono i giudici «non ha alcun rapporto con l’obiettivo di tutelare la salute pubblica combattendo il consumo eccessivo di medicinali». Non solo: la norma colpisce anche chi intende aprire una nuova farmacia nel Paese, perché gli impedisce di farsi conoscere dai pazienti e quindi ostacola la concorrenza. E questo, evidenzia la Corte, è contrario alla libertà di stabilimento garantita dall’articolo 49 Tfue.

In sintesi, con questa sentenza la Corte di giustizia afferma una volta di più che le comunicazioni commerciali, comprese quelle online, devono essere permesse alle professioni regolamentate (come quella dei farmacisti) a condizione che rispettino i principi deontologici. In tal senso, osserva la Cgue, «una misura meno restrittiva potrebbe consistere nell’autorizzare tale pubblicità nel rispetto di condizioni che consentano di preservare l’etica professionale». Non va infatti dimenticato che la pubblicità può veicolare contenuti utili come le informazioni su servizi di salute pubblica e che la concorrenza tra farmacie del capitale e farmacie indipendenti può essere serrata a prescindere dalla possibilità o meno di fare comunicazione.

»La sentenza sul caso polacco» osserva Quintino Lombardo, di Lombardo e Cosmo Iusfarma Studio Legale «non ha particolare impatto sulla disciplina italiana. Ormai da qualche anno, infatti, nel nostro Paese la pubblicità delle farmacie è del tutto legittima, anche se regolamentata in modo dettagliato dalla disciplina generale in materia di correttezza della comunicazione pubblicitaria, dalla disciplina particolare del prodotto o del servizio o dell’attività che la farmacia intende pubblicizzare e dalle norme di deontologia professionale, il cui rispetto è sempre necessario, anche da parte di chi è responsabile di una farmacia di cui è titolare una società di capitali. È interessante notare come, ancora una volta, nel difendere il principio della libertà d’impresa, o meglio della necessaria proporzionalità tra i vincoli alla libertà d’impresa e l’obiettivo superiore d’interesse pubblico che si vuol tutelare, la Corte di giustizia comunque sottolinei l’importanza di garantire il rispetto delle norme di etica professionale, un riferimento che deve essere sempre tenuto in mente dal titolare e dal direttore della farmacia, in qualunque contesto e con qualunque mezzo sia proposta la comunicazione al pubblico, inclusi ovviamente internet e i social network».

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