Continua a restare irrisolta, come un sassolino che non si riesce a buttare fuori dalla scarpa, la disputa tra distributori del farmaco e industrie del farmaco sull’inclusione o meno dei generici nella norma sullo 0,65% di spettanza che la Legge di Bilancio aveva concesso ai primi togliendolo ai secondi. La circolare interpretativa del ministero della Salute che avrebbe dovuto chiarire i passaggi più confusi della disposizione (comma 324) continua a farsi attendere e più passa il tempo più si fa flebile la speranza che il Ministero voglia davvero infilarsi nella disputa. La questione, in sostanza, non si sblocca e tra chi a suo tempo aveva ispirato e sostenuto quella norma c’è chi morde il freno. Sciogliere l’impasse ricorrendo ai tribunali? Secondo alcuni rumors ci sarebbe chi calca l’ipotesi, ma sono in tanti ad avvertire che in questo momento una mossa sbagliata rovinerebbe tutto. Non a caso, nei giorni scorsi Federfarma Servizi una circolare in cui chiede ragguagli «sulle eventuali iniziative che le Aziende associate intendono e/o hanno inteso intraprendere per tutelare i propri interessi», con la richiesta di rispondere entro venerdì prossimo. Una ricognizione che potrebbe essere soltanto dettata dall’esigenza di disporre di un quadro aggiornato oppure potrebbe servire a raccogliere gli umori delle cooperative su un’eventuale iniziativa legale.
La questione è delicata e c’è chi ricorda che prima di andare per tribunali occorre vedere quali sono gli argomenti che l’industria potrebbe tirare fuori. Per esempio, il comma 324 impone ai distributori “l’incedibilità” dello 0,65% alle farmacie, ma a quanto non tutti rispetterebbero scrupolosamente questo paletto. Per averne la prova basta andare a spulciare tra le cosiddette offerte a video, ossia i listini proposti alle farmacie su ordini diretti e Transfer order: su diverse referenze, ci sarebbero distributori che propongono alle farmacie spettanze nettamente superiori al “lecito” 33,35%, dunque eroderebbero anche quella percentuale di margine che invece dovrebbero tenere per loro. L’industria potrebbe utilizzare la mancanza a proprio favore e quindi meglio risolvere la querelle con le armi della diplomazia piuttosto che con quelle del codice civile.
Resta il fatto che i distributori proprio non possono permettersi di rinunciare allo 0,65% sul generico. Gli equivalenti, infatti, rappresentano a valori circa un quarto del fatturato del comparto, dunque ammontano a 15-20 milioni di euro le spettanze contese con l’industria (considerato che le stime originarie fissavano in circa 70-80 milioni di euro il valore della disposizione). Soldi indispensabili come l’aria per i grossisti, che hanno chiuso il 2024 anche peggio di come erano uscite dal 2023. Infatti, se due anni fa tre dei primi cinque gruppi per quota di mercato avevano approvato bilanci in passivo (e un quarto mostrava utili ai minimi termini), le stime che circolano in queste settimane sui consuntivi 2024 delineano scenari ancora peggiori, con almeno due aziende (sempre tra le prime cinque) appesantite da “rossi” di oltre 20 milioni di euro.
In attesa che tutti i bilanci vengano pubblicati (Pharmacy Scanner proporrà anche quest’anno un’analisi ragionata dei documenti contabili) è già ora lecito chiedersi se non siano altre le cure più efficaci per traghettare la distribuzione fuori dalla crisi, piuttosto che regalare qualche “scaglia” di marginalità. Di certo, diventa sempre meno rinviabile un esame di coscienza da parte dell’anello che nella filiera sta più a valle, ossia le farmacie: continuare a scegliere il grossista in base al miglior sconto (lo stesso comportamento, si badi, che le farmacie a loro volta non perdonano al cliente finale) non rischia alla lunga di aprire le porte della distribuzione a colossi come Amazon o ai Ce.di delle catene? In altri comparti del retail è quello che è accaduto.