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Riconfezionamenti, gli spazi del parallel trade con le norme Ue su QrCode e sigilli anti-frode

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Il Regolamento Ue 2016/161, che dal febbraio 2019 impone la presenza di sigilli anti-frode sugli imballaggi dei farmaci per uso umano, autorizza gli importatori paralleli a riconfezionare soltanto se non riescono a garantire un sistema di prevenzione delle manomissioni “equivalente” a quello utilizzato nell’imballaggio originario. Al contempo, i titolari dei marchi mantengono il diritto di opporsi alla commercializzazione di prodotti riconfezionati nel caso in cui, per esempio, la nuova “veste” nuoccia alla reputazione del marchio o a quella del suo titolare. E’ quanto recitano le conclusioni presentate dall’Avvocato generale della Corte di giustizia Ue in riferimento a tre distinti procedimenti (C-147/20, C-204/20 e C-224/20) sul parallel trade farmaceutico.

Le tre cause discendono dal nuovo contesto legislativo voluto dall’Unione europea per contrastare frodi e contraffazioni sui farmaci: il Regolamento citato in apertura, in sostanza, impone un nuovo bollino per la tracciabilità tipo QrCode (stampato direttamente sulla confezione) e sigilli adesivi sulle chiusure delle confezioni per scongiurare manomissioni prima della vendita. Le questioni sollevate nei tre procedimenti consistono nell’appurare se queste nuove condizioni incidano sui diritti degli importatori paralleli e dei fabbricanti dei medicinali, questi ultimi in quanto titolari dei marchi con cui i prodotti sono commercializzati.

Il primo tema affrontato dall’Avvocato generale riguarda i metodi di riconfezionamento: i commercianti paralleli sono obbligati ad aprire l’imballaggio originale del medicinale allo scopo di sostituire il foglietto illustrativo con una versione nella lingua dello Stato di destinazione, così come apporre sulle confezioni esterne etichette che traducono le informazioni al paziente. Si pone allora la questione se, alla luce delle nuove norme introdotte dal Regolamento delegato 2016/161 e dalla Direttiva 2011/62, i commercianti paralleli possano risigillare l’imballaggio originale apponendovi nuovi sigilli, oppure se debbano procedere a riconfezionare in un nuovo imballaggio.

I commercianti paralleli ritengono che il riconfezionamento in nuovi imballaggi costituisce la regola e che la risigillatura dell’imballaggio originale, data la difficoltà dell’operazione, è ammessa solo in via eccezionale. Per contro, i titolari dei marchi affermano che le nuove norme in materia di sicurezza dei medicinali non hanno fondamentalmente modificato le norme esistenti, vale a dire che in linea di principio sono possibili sia il riutilizzo dell’imballaggio originale, sia il riconfezionamento.

L’Avvocato generale sposa una soluzione intermedia: condivide, in linea di massima, il punto di vista dei titolari dei marchi quando affermano che le disposizioni pertinenti non escludono né privilegiano l’una o l’altra opzione; ma evidenzia anche che non deve essere sottovalutata la questione della “equivalenza” dei nuovi sigilli di sicurezza rispetto agli originali, così come richiede la normativa di riferimento: le “sicurezze” rimosse dall’imballaggio originario devono essere sostituite con sicurezze «equivalenti per quanto concerne la possibilità di verificare l’autenticità, l’identificazione e di fornire la prova della manomissione del medicinale». In pratica, il nuovo sistema di prevenzione delle manomissioni dovrà presentare le stesse caratteristiche tecniche di quello originale, ossia dovrà essere per lo più dello stesso tipo.

Se ciò risulta impossibile, prosegue l’Avvocato generale, l’importatore parallelo avrà l’oggettiva necessità di far ricorso a un nuovo imballaggio. Per contro, il fatto che tracce di un’apertura parziale e lecita della confezione da parte del commerciante parallelo rimangano visibili nel prodotto in caso di una verifica o all’apertura da parte dell’utente finale, non incide sull’obiettivo del sistema di prevenzione delle manomissioni, purché sia chiaro che la manipolazione è stata lecita. Ne consegue che il commerciante parallelo deve procedere al riconfezionamento con un nuovo imballaggio non tanto per evitare tracce di manomissione della confezione originale, ma quando non riesce a garantire un sistema di prevenzione delle manomissioni equivalente a quello utilizzato dal produttore.

Altro tema trattato riguarda gli effetti delle nuove norme (Direttiva 2011/62 e Regolamento 2016/161) sul diritto dei titolari dei marchi di opporsi al riconfezionamento in nuovi imballaggi per parallel trade. Secondo l’Avvocato generale, la giurisprudenza della Corte relativa al diritto dei titolari dei marchi di opporsi alla commercializzazione di prodotti riconfezionati rimane pienamente applicabile. È il caso per esempio di nuove presentazioni del prodotto riconfezionato che nuocciono alla reputazione del marchio o a quella del suo titolare. Altra possibilità, tra i consumatori del Paese di destinazione o una parte di loro può insorgere una resistenza così forte nei confronti dei medicinali rietichettati che l’accesso effettivo al mercato finisce per essere ostacolato. In tal caso, il riconfezionamento in nuovi imballaggi diventa una scelta obbligata per conseguire un accesso effettivo al mercato d’importazione.

In ogni caso, secondo l’Avvocato generale, il titolare dei marchi potrà sempre opporsi al riconfezionamento nel caso in cui venga arrecato un pregiudizio alla funzione essenziale del marchio, consistente nell’indicare e nel garantire l’origine del prodotto. Infatti, i consumatori, che non sono necessariamente coscienti dell’esistenza delle norme relative al commercio parallelo di medicinali, potrebbero non essere in grado di attribuire correttamente i prodotti al loro fabbricante effettivo, oppure potrebbero associare tale fabbricante al commerciante parallelo.

L’ultimo tema trattato riguarda l’eventualità che il Regolamento 2016/161 debba essere interpretato nel senso che il QrCode contenente l’identificativo univoco della confezione debba essere necessariamente stampato sull’imballaggio o se il codice possa essere applicato anche con un’etichetta incollata sull’imballaggio. Ebbene, secondo il parere dell’Avvocato generale il Regolamento dev’essere interpretato nel senso che permette di stampare il codice a barre contenente l’identificativo univoco non solo sull’imballaggio, ma anche su un’etichetta apposta su tale imballaggio. Tuttavia l’etichetta deve essere fissata all’imballaggio in modo tale che sia impossibile rimuoverla senza distruggerla e senza rovinare l’imballaggio, né lasciare tracce della sua rimozione. Si tratta infatti di impedire che l’etichetta contenente l’identificativo univoco e l’imballaggio siano divisi ed eventualmente poi utilizzati separatamente.

Non resta che attendere le pronunce della Corte rispetto ad una materia sicuramente complessa e controversa, con l’auspicio che tali pronunce possano chiarire aspetti delicati nell’articolato rapporto tra produttori di farmaci titolari dei marchi e commercianti paralleli.

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