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Quella farmacia in catena che cura il lay out ma trascura la formazione del personale

Mistery Shopper

«Le persone dimenticheranno velocemente quanto siete stati veloci nel fare un lavoro ma ricorderanno perfettamente se l’avete fatto bene». Anonimo

Questa volta visitiamo una farmacia appartenete a una catena cosiddetta virtuale. Situata in zona di fortissimo passaggio, facile da raggiungere con tutti i mezzi, fa parte di una delle insegne che piano piano stanno crescendo di numero e di presenza mediatica. Farmacia di circa 80-90 mq al pubblico, molto luminosa e ordinata. Lascia una sensazione di freddezza, di distacco, con una ridotta presenza di messaggi “commerciali” coerente con la politica della catena.

Anche gli sconti e le promozioni non sono messi in forte evidenza, tanto è vero che il prodotto che acquisterò tra breve mi è stato proposto (e pagato) a prezzo pieno. Guardandomi intorno noto che l’esposizione segue le logiche del category e i prodotti sono esposti prevalentemente per esigenza. Qualche prodotto non è proprio nella discesa giusta ma complessivamente il voto all’esposizione è molto più che sufficiente. La comunicazione di reparto e di scaffale è chiara e abbastanza originale, non segue solamente le logiche delle aziende presenti in assortimento. I marchi sono comunque ben rappresentati, ma sembrano relegati in secondo piano rispetto alla comunicazione della farmacia.

E’ una scelta interessante. Spesso nelle farmacie che visito accade l’opposto: brand appariscenti e comunicazione della farmacia meno visibile. In alcuni casi può sembrare che il brand abbia monopolizzato il reparto, escludendo la presenza e la personalità della farmacia. E’ invece necessario trovare il giusto equilibrio: i marchi commerciali aiutano a vendere e a dare un certo posizionamento al reparto, il brand della farmacia comunica la professionalità, l’offerta selezionata, la sicurezza e soprattutto crea legame con i clienti.

Appena mi avvicino al banco vengo subito accolto da un farmacista sorridente e capisco che la gestione del cliente sarà più che positiva. La dottoressa mi chiede di cosa ho bisogno e io, come di consueto, mi limito a dare qualche indicazione molto vaga: un «problema alla pancia, forse causato dagli sbalzi di temperatura». La risposta della farmacista ha lo stesso effetto della puntina che all’improvviso scivola dal vinile e rovina una bella canzone: «Allora andiamo sui fermenti lattici». Ma come, via diretti alla soluzione tipo Frecciarossa senza neanche fare qualche domanda aggiuntiva, per mettere a fuoco il problema?

Domande, domande, queste sconosciute! Sono in una farmacia che accoglie il cliente con un ambiente pensato per agevolare il percorso di acquisto, fidelizzare, raccontare l’assortimento e alla fine vendere. Però non sembra organizzare il personale, non lo forma e non lo motiva per far si che il cliente percepisca che il prodotto che gli stanno offrendo è proprio quello giusto. Nell’era della comunicazione è difficile emergere, farsi notare: i clienti – fisici e virtuali – sono più esigenti e abituati a livelli medio alti di trattamento.

Se nell’era della comunicazione la comunicazione si fa più difficile, è necessario formarsi, impararne i principi per stabilire modelli e applicarli. Non credo che un modello sia valido per tutte le farmacie, è necessario personalizzare, adeguare al contesto i principi. I corsi sui prodotti sono importanti ma non sufficienti. E’ sempre più necessario formarsi e formare la squadra su temi relativi alle competenze sociali. Un investimento che ritorna.

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