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Prezzi, è ora di motivarli al cliente in trasparenza. Castaldo (Bocconi): opportuno anche in farmacia

Consumatore

In un contesto caratterizzato da elevata competizione, com’è ormai quello della farmacia, e con un consumatore ancora più attento ai prezzi (per difendere il proprio potere d’acquisto), crescono i brand che scelgono di parlare di “pricing” con i loro clienti, con franchezza e trasparenza. Lo osserva Sandro Castaldo, docente di marketing all’Università Bocconi e direttore di Channel & Retail Lab, in un articolo de Il Sole 24 Ore che analizza le ultime tendenze del retail: «Il pricing» afferma in particolare Castaldo «è entrato prepotentemente nello scenario competitivo, anche alla luce dell`inflazione che abbiamo vissuto».

Che abbiano ritoccato verso l’alto i loro prezzi oppure li abbiano limati, sempre più marchi e insegne avvertono l’esigenza di spiegare al pubblico in modo diretto, tramite campagne e pubblicità, i motivi all’origine delle loro decisioni. E magari fare cultura: come – segnala Luigi Rubinelli su Alimentando – la catena francese della gdo Leader Price, che nei suoi punti vendita ha dedicato interi pannelli alla composizione dei prezzi: nel caso di una bottiglia di acqua minerale, per esempio, il 68% è quello che intasca il fornitore, il 17% va in costi del personale e di magazzino, il 7% in tasse, il 4% in logistica, il 2% in comunicazione e un altro 2% è l’utile che rimane (vedi immagine sotto).

 

Comunicare i prezzi, il caso Leader Price

Nei suoi supermercati l’insegna fancese ha dedicato interi pannelli per rendere trasparente la composizione dei prezzi di alcuni prodotti. Il titolo del cartellone a destra dice: «Il potere di comprendere i prezzi». Subito sotto, «Come sono fatti i prezzi». Quindi, l’elenco analitico: nel caso di una bottiglia di acqua minerale, il 68% lo intasca il fornitore, il 17% va in costi del personale e di magazzino, il 7% in tasse, il 4% in logistica, il 2% in comunicazione e un altro 2% è l’utile che rimane. Il pay off in fondo recita: «Per sapere quello che si paga davvero».

 

Ma si possono citare ancora altri casi: in Italia, Carrefour ha deciso di escludere Pepsi dai suoi scaffali dopo gli aumenti decisi all’inizio di gennaio dalla marca americana. E di nuovo in Francia, dove nell’ultimo anno l’inflazione ha picchiato davvero duro, McDonald ha lanciato una campagna per pubblicizzare il suo nuovo servizio di delivery in cui mette a confronto prezzi e vantaggi rispetto alla consumazione nei suoi fast food.

I prezzi, tira le somme Sandro Castaldo, sono diventati l’argomento di un nuovo “brand activism”. «Oggi le aziende devono mettersi nei panni dei clienti ed essere customer advocacy, ossia diventare difensori dei consumatori. Chi riesce a farlo per primo vince la sfida dei mercati. È un tema di velocità, oltre che di trasparenza». Un tema, aggiunge Castaldo a Pharmacy Scanner, che oggi è quanto mai attuale anche in farmacia. Dove, lo raccontano i titolari sui loro gruppi Facebook, capita sempre più spesso che i clienti chiedano spiegazione di un certo prezzo oppure della differenza che riscontrano rispetto all’online. «Nell’ultimo anno molti consumatori si sono visti erodere la loro capacità di spesa in modo drammatico» osserva il docente «inevitabile che i brand avvertissero la necessità di migliorare la relazione con il cliente con una comunicazione franca sugli “economics”. Anche in farmacia sarebbe opportuno fare la stessa cosa: a fronte di aumenti che facciamo fatica a capire, può accadere nasca il sospetto che la distribuzione speculi sugli aumenti. La farmacia che comunica in modo chiaro e trasparente i costi sostenuti, non soltanto fa un’operazione di chiarezza, ma aiuta anche il consumatore a capire che la sua prossimità ha un costo: in fondo, i clienti già sanno che non possono chiedere al negozio sotto casa gli stessi prezzi del supermercato che devono raggiungere in macchina».

Quanto poi alle differenze di prezzo tra canali fisici e digitali, le cause sono diverse. «Molto dipende da come i fornitori gestiscono il pricing multicanale, non tutti sono in grado di controllare i prezzi che vengono praticati dai diversi canali» ricorda Castaldo «poi ci sono gli e-retailer che optano volutamente per politiche aggressive, tant’è vero che alcuni produttori preferiscono differenziare tra i canali con prodotti dedicati, in modo da evitare che i clienti facciano comparazioni dirette. I retailer fisici che decidono di non trattare più i prodotti venduti online danno una risposta cmprensibile, il pericolo però è quello di penalizzare gli assortimenti. Servirebbe piuttosto maggiore chiarezza da parte delle aziende fornitrici: se una referenza viene proposta su internet al 50% del prezzo praticato nel canale fisico è evidente che c’è qualcosa che non va».

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