Su Poct (Point of care test) e analisi ematochimiche in farmacia la polemica non si placa ma addirittura monta. Perché dopo i due reportage del Corriere della Sera (a cura di Milena Gabanelli e Simona Ravizza) e de Le Iene (la trasmissione di Italia1), è bastato la settimana scorsa che la Conferenza Stato-Regioni approvasse la nuova Convenzione tra Ssn e farmacie perché contro i servizi si (ri)scagliassero la Fnob (Ordine dei biologi), la Fismelab (Federazione italiana società medicine di laboratorio), la Sibioc (Società italiana di biochimica clinica e biologia) e soprattutto l’Anaao-Assomed, il più rappresentativo tra i sindacati dei medici ospedalieri. Ossia quelli che, con il convenzionamento della farmacia dei servizi, dovrebbero prescriverne le prestazioni assieme ai medici di famiglia.
Federfarma ha subito risposto ricordando che la nuova Convenzione non riserva al farmacista alcuna attività di diagnosi e «dettaglia disposizioni già in vigore». In particolare, impone al farmacista l’utilizzo di test conformi alla normativa di riferimento, ribadisce che la somministrazione avvenga nel rispetto della scheda tecnica del prodotto e delle istruzioni fornite dal produttore e introduce l’obbligo di consegnare il risultato (in realtà la Convenzione parla poco felicemente di «referto») o l’attestato scritto all’assistito con firma su carta intestata della farmacia. Dal canto loro, Assofarm e Fofi hanno comunicato di essere già al lavoro per fornire alle farmacie linee guida e protocolli operativi che standardizzeranno le procedure in farmacia per Poct e analisi (avevamo parlato di questa necessità proprio la settimana scorsa).
Tra i farmacisti, intanto, sono sempre di più quelli che si chiedono perché nel dibattito che infuria ancora non si è sentita la voce di fornitori e produttori: chi mette in dubbio l’attendibilità delle analisi effettuate in farmacia, non getta anche ombre sulla qualità delle macchine che le farmacie utilizzano per tali prestazioni? «È ovvio che i detrattori della farmacia dei servizi hanno nel mirino due bersagli» commenta Guido Mantovani, amministratore delegato di Corman, che sino alla fine del 2023 distribuiva in Italia Poct di Abbott «la qualità dei device e la qualità delle procedure. Dunque è con la qualità che la farmacia deve rispondere alle critiche: vanno privilegiate le marche che danno affidabilità e vanno rispettate scrupolosamente le procedure, da quando il paziente si siede a quando riceve i risultati. La macchina da sola non significa nulla, è l’insieme device-operatore che deve lavorare al meglio».
Concorda Fulvio Glisenti, presidente di Htn – Health Telematic Network (che alle farmacie offre servizi di telemedicina e Poct): «È certamente con la qualità dei device e la qualità delle procedure di esecuzione delle analisi ematochimiche che la farmacia deve rispondere alle critiche» spiega a Pharmacy Scanner «per parte nostra abbiamo coinvolto per tempo (2020) il Laboratorio Centrale degli Spedali civili di Brescia e provveduto a far confrontare i dati del Poct che utilizziamo con le loro apparecchiature; i risultati sono apparsi del tutto correlabili a quelli dei device utilizzati nel loro laboratorio. Sarebbe quindi opportuno che tutte le farmacie si orientassero all’acquisto di modelli che offrono questo genere di garanzie e che tali apparecchiature possano essere telecontrollate e telemonitorate da remoto, in modo da essere certi in ogni momento della bontà dei risultati. L’altra questione sono le procedure: il farmacista dovrebbe essere adeguatamente formato all’esecuzione del prelievo capillare, soprattutto ora che la Convenzione gli richiede di firmare i risultati (e non sempre chi fa il test è opportunamente preparato)».
«In farmacia oggi si trovano apparecchi di buona qualità e altri meno» osserva Massimiliano Germani, esperto di servizi Poct in farmacia «finora il mercato era appannaggio di due o tre marche ora invece è esploso e si trova di tutto, con differenze di prezzi che non sempre convincono. Le aziende poi dovrebbero impegnarsi di più per fare cultura: non tutte insistono adeguatamente con i farmacisti perché facciano manutenzione alle macchine e seguano scrupolosamente i manuali, dove sono riportate procedure e operazioni. Faccio solo un esempio: quando acquistano una macchina, la prima cosa che vogliono gli ospedali è vedere com’è il manuale d’uso, se è chiaro, leggibile, applicabile eccetera».
Quanto ai controlli – che in farmacia mancherebbero secondo Corriere della Sera e Le Iene – le opinioni divergono. «I controlli ci sono» osserva Mantovani «e quelli dei Nas sono severi. Forse non sono gli stessi dappertutto, ma le verifiche si fanno e se la farmacia non segue le indicazioni dei manuali viene invitata ad adeguarsi». «I controlli sono a macchia di leopardo» è invece l’opinione di Germani «ci sono Asl che non hanno l’esperienza necessaria o non sono informate, per questo è indispensabile rivolgersi soltanto a produttori che certificano le loro macchine». «I dispositivi non soltanto devono rispettare i requisiti di legge previsti ma vanno anche mantenuti e ricalibrati » ricorda Valentina Pasquali, marketing manager di Colpharma, azienda specializzata in servizi in farmacia «e Asl e Nas vigilano eccome, non solo gli apparecchi ma anche che vengano rispettate le indicazioni dei manuali d’uso». «Non saprei dire se i controlli siano gli stessi sull’intero territorio nazionale» è l’opinione di Glisenti «l’obiettivo comunque dovrebbe essere quello di garantire, sempre e in modo completo, la qualità dell’intero processo».
Tutti d’accordo, invece, sull’opportunità che le farmacie, attraverso le loro rappresentanze di settore oppure insegne, network o gruppi di acquisto, definiscano su procedure e comunicazione dei protocolli che standardizzino la pratica. «È da anni una mia battaglia personale» dice Mantovani «i farmacisti devono difendere i servizi perché sono la naturale evoluzione della farmacia ma non possono farlo in maniera disordinata, occorre standardizzare e certificare le procedure e su questo sarebbe auspicabile che anche sindacato e Ordine esprimessero una posizione chiara: altrimenti domani, al primo sbaglio, ne discenderà un danno a tutto il sistema». «La nuova Convenzione rappresenta già un primo importante passo avanti» osserva Glisenti «perché fissa requisiti strutturali e organizzativi ben precisi. Ora occorre che le farmacie si diano una procedura, un protocollo che definisca per filo e per segno che cosa si fa in farmacia in modo che i team siano informati e sappiano che cosa fare e quando». «Oggi ci sono farmacie strutturate che hanno capito che sui servizi non si può improvvisare e hanno messo nero su bianco comportamenti e regole» ricorda Pasquali «e altre che invece che stanno ad aspettare il cliente che entra e non danno il messaggio giusto». «Il fatto è che servizi come i Poct sono attività consentite ma che non hanno mai avuto un inquadramento normativo» fa notare Germani «sarebbero senz’altro di aiuto delle linee guida certificate da una società scientifica autorevole». Qualche polemica, di sicuro, la spegnerebbero.