Skin ADV

Pessina: globalizzazione finita, torniamo a concentrarci sul business della farmacia

Filiera

Il futuro di Walgreens Boots Alliance? È nel suo passato, cioè nel core business: la farmacia prima che le retail clinic o gli ambulatori “walk in”. Lo sostiene Stefano Pessina, presidente esecutivo di Wba, in un’intervista al quotidiano torinese La Stampa che non sembra avere avuto grande eco nel mondo della farmacia italiana (quanto meno, non sui social più frequentati dagli addetti ai lavori). Eppure di cose importanti Pessina ne dice, anche se in buona parte riguardano il mercato americano (ma è difficile non chiedersi se qualcuno dei suoi pensieri non sia rivolto anche al contesto italiano, dove il tycoon abruzzese ha pur sempre affari importanti).

C’è innanzitutto da chiedersi se valgano anche per il Belpaese le sue riflessioni sul tramonto della globalizzazione: «Il mercato è cambiato» dice Pessina a La Stampa «fino alla pandemia il mondo era orientato alla globalizzazione, sembrava si potessero fare affari ovunque e che il commercio potesse espandersi senza fine. E noi abbiamo comprato e investito, siamo cresciuti in tutto il mondo». Poi sono arrivati il covid, una nuova stagione di crisi internazionali, le tensioni con la Cina, la polveriera del Medio Oriente, la crisi del Mar Rosso. «La globalizzazione così come l’avevamo conosciuta è finita» tira le somme il presidente esecutivo di Wba «ora si tende a preferire una visione regionale, per aree conosciute, affidabili. Il mondo è nuovamente cambiato e noi ci adattiamo a quello».

Anche nel business della farmacia Pessina annuncia un ritorno al passato: bisogna essere coerenti «con le nostre radici, consolidando l’esistente». Ossia, spiega, rimettere la farmacia al centro: «Abbiamo un potenziale enorme di farmacie che possiamo utilizzare al meglio» sono le sue parole «opereremo sull’innovazione, che poi è la componente base del nostro lavoro». Il colosso americano (oltre 31 mila farmacisti e 12.500 punti vendita in tutto il globo) continuerà a puntare sulle retail clinic, assicura Pessina «ma, lo ripeto, opereremo in maniera più coerente con le nostre tradizioni, in un’ottica regionale». Il che significa anche stop alle grandi acquisizioni che hanno caratterizzato il passato recente del gruppo. «Potremmo comprare ancora qualche farmacia qua e là» dice il manager abruzzese «ma niente di più. Consolidiamo quanto abbiamo raccolto. È la strategia del momento».

Fa riflettere: colui che nel giro di un ventennio aveva unito con un tratto di penna tre gruppi nazionali (l’americana Walgreens, l’anglosassone Boots e l’italo-francese Alliance) in un colosso di dimensioni globali, riconosce e certifica che il vento è cambiato. Dopo che i tentativi di Wba di vendere Boots sono falliti e ora la soluzione di ripiego sembra quella dell’ingresso in borsa (quella di Londra, ovviamente) e, in Italia, si continua a vociferare di piani per la dismissione delle attività distributive.

Per il resto, l’impressine – di cui abbiamo già scritto – è che il Monopoli delle farmacie italiane abbia rallentato il passo ma non si sia fermato: l’unica pedina che continua a correre a velocità più che sostenuta è Hippocrates, che si mantiene sulla media dei dieci acquisti al mese e a fine anno contava 386 farmacie pienamente integrate nella gestione, che a breve diventeranno 410 con l’obiettivo di aggiungerne altre cento per la fine del 2024.

Passo invariato, anche se più lento, pure per Farmagorà, che attualmente conta 33 farmacie: all’inizio dell’anno ha aggiunto alla propria rete il quarto esercizio in provincia di Torino e si accinge ad allargare la sua “testa di ponte” in Sardegna. Ma è  sempre una progressione che viaggia su una-due acquisizioni al mese, e ormai la società è arrivata al suo terzo anno di vita. Quota trenta valicata anche da Alma Farmacie (holding Pharma Green), che un paio di settimane fa ha annunciato l’ingresso nella rete di una farmacia di Carrara (totale 32) e di compleanni ne ha festeggiati due. E continua a comprare anche Boots-Pharma Acquisition, ma pure in questo caso è un “cherry picking” tutt’altro che serrato.

Stesso discorso per Felia Farmacie (holding Centrofarm), che ha da poco un nuovo ceo, lo svedese Anders Skeini (in principale investitore): attualmente le farmacie in gestione sono 20, più altre cinque in trattativa avanzata, per una progressione rallentata rispetto ai programmi iniziali perché si vuole dare precedenza alla brandizzazione delle filiali già integrate (solo due quelle finora vestite con il format). E intanto continuano a girare voci di fondi che dopo una breve avventura nel nostro Paese se ne vogliono andare e di catene che puntano a sfoltire la rete e consolidare il perimetro.

E sì che l’offerta non sembra mancare, anzi. Secondo rumors di mercato, in questo momento sarebbero parecchi i farmacisti titolari pronti a vendere, in particolare tra quelli che hanno vinto la farmacia nel concorso straordinario o hanno fatto da poco investimenti importanti e sono stati presi in contropiede dall’aumento del costo del denaro. Il fatto però è che l’offerta (di chi vuole vendere) prevale sulla domanda (di chi può comprare), tant’è vero che – secondo gli addetto ai lavori – anche i moltiplicatori sono calati: dall’1,8 dell’autunno scorso siamo ormai a 1,5, anche se si tratta di un valore meramente didascalico, perché la variabilità per cluster di farmacia e area geografica resta elevata.

L’aria che tira insomma sembra la stessa descritta da Pessina nell’intervista a La Stampa, anche se il manager abruzzese di certo non pensava all’Italia: freno a mano tirato sulle acquisizioni, consolidare, regionalizzare. E sullo sfondo, uno scenario politico-economico che resta altamente incerto (tassi d’interesse, crisi locali, inflazione, consumi ridotti).

Altri articoli sullo stesso tema