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Online, in Uk catene e “indipendenti” si interrogano: a chi conviene?

Filiera

Ora che Amazon, dopo tanti annunci e vaticini, ha messo definitivamente piede nel mondo della distribuzione del farmaco, davanti ai farmacisti titolari si ripresenta ancora più assillante il dilemma che segue ogni notizia dove per protagonista c’è l’e-commerce: al netto di mode e infatuazioni del momento, quali sono realmente le opportunità che il web offre al canale della farmacia? E quanto è sostenibile, oggi, investire nell’online e nella vendita a distanza?  Sono domande che da tempo rimbalzano tra esperti, titolari e addetti ai lavori, ma finora nessuno è ancora riuscito a fornire risposte “definitive”. Certo, ci sono i sondaggi che all’indomani della notizia del “deal” Amazon-Pillpack hanno cercato di scandagliare le opinioni degli americani: secondo una ricerca Global Dataretail il 44% degli assistiti Usa approva l’acquisizione, il 36% dice di essere pronto a ripetere le proprie ricette con Amazon, un altro 44% sospende il proprio giudizio solo perché non sa se la sua assicurazione o il suo piano sanitario lo consentono e il 79% spera che l’arrivo del gigante dell’e-commerce faccia abbassare i prezzi dei farmaci. Ma sono indicazioni di scarso valore, perché provengono da consumatori che con l’e-commerce e le vendite a distanza hanno un rapporto ben diverso dal pubblico italiano o anche solo europeo.

Più interessante, invece, quello che scrive sul tema il Pharmaceutical Journal, la rivista della Royal pharmaceutical society (l’equivalente del nostro Ordine dei farmacisti). In un articolo pubblicato prima che venisse fuori il “deal” Amazon-PillPack ma ancora attualissimo, il magazine prova a rispondere all’interrogativo sulla sostenibilità dell’online in farmacia mettendo a confronto gli orientamenti di catene ed esercizi indipendenti. E il quadro che ne scaturisce è ricco di spunti di riflessione anche per i titolari di casa nostra.

Innanzitutto c’è la fotografia del mercato: per quanto la farmacia inglese possa essere considerata – sotto il profilo dell’e-commerce farmaceutico – più vicina alla realtà americana che a quella del nostro Paese, nel Regno Unito l’online mostra numeri ancora ridotti: oltremanica, infatti, le web-pharmacy registrate da Nhs Digital (l’ufficio statistico britannico per l’e-Health) sono 335, ma la più grande – Pharmacy2U – non spedisce mensilmente più di 250mila farmaci su ricetta. «La sua quota di mercato» riferisce al Pharmaceutical Journal Dan Sheldon, responsabile delle attività digitali di Well Pharmacy «vale lo 0,5% del mercato complessivo delle ricette». E infatti, ricorda la riista, Pharmacy2U ha registrato nel biennio 2016-2017 perdite complessive per 20 milioni di sterline.

Attenzione però, avverte l’articolo: se il mercato dell’online mostra in farmacia numeri ancora lillipuziani, le indicazioni che arrivano dagli altri canali del retail sono inequivocabili. Le statistiche, in particolare, dicono che ad aprile il 17,3% di tutte le vendite concluse in Gran Bretagna sono passate dal web (cinque anni fa erano il 10%); l’8,6% delle attività di vendita, inoltre, fanno ormai capo a operatori che non hanno neanche un negozio fisico. Non solo: catene come Toys R Us e Maplin sono fallite a causa innanzitutto della concorrenza dei rivenditori online e Mark & Spencer, nota insegna dell’abbigliamento e degli articoli di lusso, ha già fatto sapere che entro il 2020 chiuderà circa 100 punti vendita per trasferire un terzo delle sue vendite sul web.

Sono segnali che i farmacisti non possono sottovalutare. «Amiamo ripeterci che la farmacia è un’altra cosa e io stessa vorrei sottoscrivere subito questa affermazione» dice Sandra Gidley, presidente del British pharmacy board presso la Royal pharmaceutical society «ma la realtà è che se si osserva ciò che sta accadendo in qualsiasi altra attività del retail, tutti stanno sviluppando una presenza online perché sempre più persone sono sul web». Nel Regno Unito sono soprattutto le catene a pensarla in questo modo. E a ritenere che, in prospettiva, le potenzialità dell’online sono consistenti. «I consumatori» osserva ancora Dan Sheldon «hanno attese crescenti sulle esperienze di acquisto in cui si possono immergere, e tali attese non sono generate dalle farmacie o dai retailer tradizionali, ma da marketplace come Amazon o Netflix».

Anche in Boots si sta lavorando sullo stesso fronte: come dichiara al Pharmaceutical journal una fonte della catena inglese, è in corso un’evoluzione nelle modalità con cui i pazienti vogliono gestire le loro prescrizioni e accedere ai servizi online delle farmacie. «I nostri clienti possono gestire via web la ripetizione delle loro ricette e attraverso le nostre cliniche online offriamo una gamma di servizi per la disfunzione erettile, l’acne, la perdita di capelli e la disassuefazione dal fumo».

Lo sviluppo dei servizi online è una priorità strategica anche per LloydsPharmacy, presente in Italia con l’insegna Lloyds Farmacie. «Attraverso il nostro portale lloydspharmacy.com» spiega Andy Sloman, amministratore delegato di LloydsPharmacy Online Doctor «i nostri pazienti possono richiedere la consegna gratuita a domicilio dei farmaci prescritti o usufruire del nostro servizio click & collect per i prodotti senza obbligo di ricetta». LloydsPharmacy Online Doctor è un servizio di consulto medico e prescrizione a distanza che oggi conta 1,4 milioni di pazienti. «Il nostro team di esperti può prescrivere farmaci che poi possono essere ritirati direttamente in una delle nostre farmacie» sottolinea Sloman, che conferma i programmi del gruppo per l’avvio di ulteriori servizi online. «Crediamo che la tecnologia possa essere utilizzata per aiutare le persone a gestire meglio le loro condizioni di salute a lungo termine». La convinzione, in particolare, è che nell’assistenza sanitaria mondo fisico e digitale possano completarsi a vicenda per offrire agli assistiti percorsi diversificati di accesso al farmaco o alle prestazioni. «Il paziente che usa il nostro servizio di consulto medico online» chiarisce Sloman «può anche chiedere che gli venga prescritta la pillola anticoncezionale, che poi andrà a ritirare in farmacia. E qui il farmacista farà le verifiche del caso – come la rilevazione dell’indice di massa corporea – per accertare che la prescrizione è appropriata».

Anche Well Pharmacy sta lavorando alla prescrizione online, per la quale ha recentemente sviluppato un’app che permetterà di chiedere la ripetizione della ricetta. «Faremo in modo che i nostri clienti possano scegliere quando e dove ricevere i farmaci prescritti» spiega Sheldon «avremo chi vorrà usare l’app, chi preferirà andare in farmacia, chi infine vorrà contattare i nostri farmacisti con altre modalità. Faremo in modo che sia tutto possibile: Amazon sta spingendo sui suoi armadietti Lockers, stiamo studiando qualcosa del genere pure noi».

Nonostante i programmi delle catene, neanche in Gran Bretagna sono tutti pronti a scommettere su internet. E se nessuno dubita che negli anni la domanda di servizi online in farmacia aumenterà, c’è la diffusa convinzione che nel canale comunque l’e-commerce non raggiungerà i volumi che si prevedono nel resto del retail. Sandra Gidley, in particolare, è convinta che molti assistiti continueranno a recarsi in farmacia quando di mezzo c’è la ricetta del medico: «Sei appena uscito dall’ambulatorio, tanto vale che tu faccia un salto nella farmacia vicina per procurarti i farmaci prescritti». Discorso diverso, invece, per quei pazienti cronici che ogni mese hanno bisogno di una nuova fornitura di farmaci: «Per chi di loro lavora, ricevere i farmaci prescritti in ufficio sarebbe una semplificazione non indifferente». Anche per Gareth Jones, dirigente della Npa (National pharmacy association, il sindacato dei farmacisti inglesi), la maggior parte dei pazienti inglesi continuerà a rivolgersi alle farmacie tradizionali. «Spesso è molto più veloce recarsi nella farmacia vicino all’ufficio mentre vai al lavoro, piuttosto che aspettare un pacco che forse si è smarrito chissà dove». Quando c’è di mezzo la salute, prosegue Jones, i pazienti preferiscono il contatto personale: «Quando il farmacista vede i pazienti con regolarità, crescono le probabilità che possa notare problemi legati allo stato di salute o alla terapia». E poi ci sono i costi del recapito a domicilio. “L’affermazione che l’online sia più efficiente dell’offline ancora non è stata dimostrata» sottolinea Jones «in realtà è un modello costoso».

E le farmacie indipendenti, che cosa pensano dell’online? A giudicare dalle testimonianze raccolte dalla rivista inglese, l’approccio è cauto ma non di chiusura. «Non credo ci siano dubbi sul fatto che tutte le farmacie debbano essere presenti su internet» è il parere di Martin Bennett, titolare di una farmacia indipendente a Sheffield «ma l’online non ci deve servire per proporre un servizio sull’intero territorio nazionale, quanto piuttosto migliorare i servizi locali che già forniamo». La presenza online di una farmacia indipendente, interviene ancora Jones, dovrebbe dipendere dal bacino di clientela e dai loro bisogni. Le farmacie più piccole, in particolare, dovrebbero usare il loro sito per comunicare gli orari di apertura dell’esercizio e magari fornire informazioni sui servizi sanitari disponibili nel territorio. Si potrebbe anche fare di più, avverte Gidley, ma farlo bene potrebbe essere costoso e farlo invece in modo approssimativo potrebbe essere controproducente. «Al momento» è la conclusione della presidente del British pharmacy board «direi che la maggior parte delle piccole farmacie non dispone di risorse per cimentarsi in cosa complesse». E poi, se ci sono clienti che vorrebbero tutto subito e senza attese, ce ne sono molti di più che non vogliono far viaggiare le loro ricette via internet. «Se sei una piccola farmacia con una base clienti consolidata» conclude Gidley «investire sul web non assicurerebbe ritorni tali da giustificare la spesa».

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