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La Bce aumenta i tassi, l’accesso al credito si complica. Le ricadute per il mondo della farmacia

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Dall’Istat continuano ad arrivare segnali preoccupanti: i prezzi alla produzione continuano a crescere e a settembre toccano un incremento del 41,8% su base annua, in accelerazione rispetto al precedente dato mensile. Sul mercato interno, l’aumento nello stesso mese è del 3,5% rispetto al precedente e del 53% su base annua. Sterilizzando questi dati dagli effetti dei rincari del comparto energetico, i prezzi registrano un incremento meno importante ma comunque significativo, rispettivamente +0,8% e +12,6% a livello tendenziale.

In questo contesto, la politica monetaria della Bce non aiuta perché anziché dare la direzione semina incertezza in un periodo già caratterizzato da forti preoccupazioni. Come fa un imprenditore a capire se è opportuno realizzare un investimento? Come fa un farmacista titolare a decidere quale fascia di prodotti acquistare o se ristrutturare l’azienda? Di fronte a una inflazione il cui aumento sfiora la doppia cifra, la parola d’ordine della Bce è «raffreddare l’economia», ossia rallentarla. Si tratta di una politica certamente utile, ma assai delicata e quindi pericolosa in quanto se non calibrata bene può portare alla chiusura di aziende e alla perdita di posti di lavoro.

La manovra principe è quella di aumentare i tassi: in questo modo le imprese pagano di più il costo del denaro, riducono gli investimenti e la produzione e di conseguenza l’offerta: le famiglie rimandano acquisti più o meno necessari e l’inflazione si raffredda. Ricordiamo che fino allo scorso inverno gran parte degli economisti hanno giustamente auspicato un incremento dell’inflazione, mentre oggi incute timore a tutti. Evidentemente non è un fenomeno che possa essere governato a proprio piacimento ma questa non è una novità.

Alcuni ricorderanno che negli anni ottanta l’inflazione è stata la nostra bestia nera, con i titoli di stato che sono arrivati in un certo punto a pagare oltre il 20% di interessi. In quel periodo i tassi reali, ossia i tassi che derivano dalla differenza tra rendimenti e inflazione, erano addirittura negativi. Stiamo quasi vivendo un ritorno a quel passato, tante sono le analogie con quel periodo.

La Bce poi fa trapelare che gli aumenti “jumbo” non diventeranno una norma, cosa che a sua volta semina ulteriore incertezza. Ma al di là dell’aumento del costo del denaro, le aziende e quindi anche le farmacie farebbero bene a prepararsi a una imminente stretta creditizia e rispondere rivolgendosi ai finanziamenti di tipo pluriennale, che mettono al riparo dalle sorprese insite nel credito finanziario e commerciale a breve termine.

Per le farmacie, inoltre, l’elemento di criticità risulta amplificato dal credito ottenuto sotto forma di dilazioni sui pagamenti alla distribuzione intermedia, che costituisce di fatto una forma di “shadow banking”. In un periodo di stretta creditizia questa pratica genera spesso vulnerabilità, perché compromette la capacità della distribuzione intermedia di concedere dilazioni temporalmente “innaturali” a farmacie che ricevono anche nove consegne al giorno. Nel frattempo l’Abi, l’Associazione delle banche italiane, rileva che a ottobre gli impieghi per le famiglie e le imprese aumentano ma stanno rallentando nella dinamica. I primi concreti segnali di quel raffreddamento di cui si diceva sopra.

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