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Gli investitori chiamano Federfarma: entri con noi nel Monopoli delle farmacie

Filiera

Federfarma potrebbe entrare in un fondo di private equity che ha per mission l’acquisto di farmacie e il supporto gestionale ai farmacisti titolari. Questa almeno è l’ipotesi presentata il 3 marzo scorso al Consiglio nazionale (il “parlamentino” federale del sindacato) dal presidente Marco Cossolo e dal segretario Roberto Tobia: all’origine ci sarebbero alcuni contatti con una sgr, ossia una società di gestione del risparmio, per la costituzione di un fondo di investimento alternativo riservato, nel quale cioè gli strumenti finanziari non sono quelli tradizionali (azioni, obbligazioni, liquidità) e tra le cui caratteristiche figurano un rendimento potenziale elevato ma anche un rischio medio-alto.

A tale fondo, è stato spiegato alla Federazione, sarebbero intenzionati a partecipare alcuni investitori, anche di profilo istituzionale, che però avrebbero posto tra le condizioni la presenza del sindacato. Non sono stati fatti nomi, il pensiero però corre subito a Cassa depositi e prestiti, l’ente finanziario controllato dal Mef: in un articolo di qualche settimana fa, il Sole 24 Ore aveva riferito di un generico interesse della Cassa ad acquisire farmacie, ma al momento si possono fare soltanto congetture. Ai delegati del Consiglio nazionale, poi, Cossolo e Tobia hanno parlato di Banca Ifis (cui fa capo Credifarma) ed Enpaf (l’ente di previdenza dei farmacisti) come potenziali partecipanti, ma anche in questo caso siamo soltanto nel regno delle ipotesi.

Per spiegare il tipo di operazione che si potrebbe configurare, piuttosto, Cossolo e Tobia hanno fatto l’esempio di Farmacie comunali di Torino, la società che gestisce i 34 esercizi pubblici del capoluogo più altri cinque di tre comuni della fascia: dal 2008 figurano nella municipalizzata Farmagestioni, società cooperativa che fa capo a Federfarma Torino, e Unifarma Distribuzione (partecipata per il 64% da Unifarma spa e per la quota restante da Alleanza Salute). E dal 2014 le due società – assieme a Unioncoop – ne detengono l’80% , cosa che tiene le comunali sabaude al sicuro da eventuali scalate ostili.

L’ingresso nel fondo, sarebbe quindi il ragionamento, potrebbe servire a rendere più difficile l’espansione delle catene: attualmente, dicono i dati, appartiene al capitale circa il 3% delle farmacie italiane, cioè 600-650 esercizi; ma le previsioni degli analisti, basate sulla congiuntura di breve periodo e sulle incertezze legate all’emergenza pandemica, dicono che da qui al 2024 le farmacie delle catene potrebbero diventare anche un quarto del totale. D’altronde, il capitale hanno continuato ad acquistare anche in piena pandemia: Neo Apotek, per esempio, dichiara 24 farmacie in organico, dieci delle quali aggiunte nella seconda metà del 2020, e un’altra mezza dozzina in probabile arrivo entro giugno; Dr.Max ha annunciato nei giorni scorsi l’inaugurazione del punto vendita di Follonica (provincia di Grosseto) e potrebbe presto ricominciare a comprare dopo oltre un anno di pausa. Hippocrates, infine, conta più di 150 farmacie, delle quali una ventina si è aggiunta negli ultimi mesi.

Se i verbi sono tutti al condizionale è perché l’eventuale partecipazione al fondo da parte di Federfarma è ancora da decidere: per il 24 marzo è prevista una nuova seduta del Consiglio nazionale, dove i delegati si esprimeranno sul progetto, quindi toccherà all’assemblea generale dire l’ultima parola. E poi ci sono diversi risvolti ancora da chiarire: il capitale sociale della sgr ammonta a 50 milioni di euro, quindi Federfarma entrerebbe con una quota minoritaria (forse l’uno o il due per cento, non direttamente ma tramite una delle sue società come Promofarma); dato che le è stato chiesto di partecipare, potrebbe porre comunque condizioni – come una golden share o la presidenza della società – che le consentirebbero di stare in cabina di regia anche senza essere tra i soci di riferimento. Resta però stridente l’idea di allearsi al capitale per competere con il capitale.

Ma ci sono anche incognite più spinose: che faranno le catene del capitale nel momento in cui Federfarma e i suoi soci si metteranno a comprare farmacie? Continueranno a farsi rappresentare dalla Federazione oppure la lasceranno, magari per costituire una propria organizzazione sindacale? E’ vero, oggi che le farmacie del capitale sono soltanto il 3% la perdita sarebbe ininfluente perché non ci sarebbero strascichi sulla rappresentatività (per partecipare ai rinnovi delle convenzioni nazionali occorre avere iscritti pari ad almeno il 5% delle farmacie in attività). Ma in un paio di anni – come s’è detto – le cose potrebbero cambiare e a quel punto Federfarma si troverebbe a trattare con le Regioni in compagnia di un sindacato delle farmacie del capitale che avrà interessi e obbedirà a logiche sue proprie. E poi ci sono i farmacisti titolari: sicuri che nessuno tra gli associati solleverà obiezioni all’idea di trovarsi un giorno la Federazione, cioè il suo sindacato, a gestire in società la farmacia accanto? Sono domande cui dovranno dare risposta i delegati del Consiglio nazionale nelle prossime tre settimane.

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