Dopo l’approfondita indagine lanciata a luglio da Profili e Pharmacy Scanner, risulta ormai evidente che il problema della carenza di farmacisti, o meglio la difficoltà di attrarli (visto che i laureati ci sono ma scarseggiano quelli che vogliono lavorare in farmacia), dipende da:
- una remunerazione giudicata inadeguata;
- orari di lavoro poco conciliabili con la vita privata;
- percorsi di sviluppo e crescita professionale inesistenti nelle farmacie private e fisiologicamente brevi nelle catene (da farmacista si può salire a direttore e area manager, poi il percorso tendenzialmente si ferma).
Le cause del problema, in sostanza, sono ormai note ed è chiaro che adesso l’impegno di tutti dev’essere quello di invertire di marcia, con le parti in causa (titolari, catene e collaboratori) a confrontarsi per capire come cambiare il mercato. Nel frattempo però che fare? Come coprire le molte, troppe posizioni vacanti?
Le catene già da qualche tempo e con molta lungimiranza hanno capito che occorre andare a lavorare sulle università, dove vengono formate le giovani leve e da dove si può attingere in termini di Talent Acquisition competenze fresche, più facili da formare all’interno delle Academy aziendali. In aggiunta, la catena ha la possibilità di presentarsi agli studenti delle università, proporre il proprio modello di farmacia, far conoscere il proprio brand e sperare in un ritorno in termini di engagement da parte degli studenti una volta laureati.
E le farmacie private cosa possono fare? Chiaramente, è più complesso per una singola farmacia presentarsi ai career day che le facoltà di farmacia propongono sempre più spesso e competere con le catene, che hanno percorsi formativi forti, impattanti e di qualità. Un’opzione potrebbe essere quella di “fare squadra”, raccogliere tramite le rappresentanze provinciali e regionali le necessità delle farmacie private e presentarsi come soggetto unico di fronte alle università. Tale strategia richiede però una forte capacità di fare team, un po’ di flessibilità e sintesi per muoversi con snellezza e chiarezza comunicativa, tutte skills che non sempre hanno i farmacisti titolari, storicamente più inclini a valutare prioritarie le proprie esigenze peccando a volte di una visione d’insieme non adeguata (ne sanno qualcosa le catene virtuali dei distributori).
Allora quello che proporrei è di rendere consapevole la farmacia privata delle sue peculiarità rispetto alla farmacia di una catena e usare questi elementi a suo favore. Per esempio, una delle peculiarità della farmacia privata che possono esere cavalcate è la dimensione: essendo piccola è sicuramente più snella e veloce di una catena, può offrire quindi un pacchetto economico e professionale ad hoc per il candidato. Dal punto di vista economico, già ho avuto modo di scrivere che all’interno delle catene ci sono delle griglie salariali che non si prestano alla personalizzazione, nella farmacia privata ciò non accade e il titolare oculato può differenziare con meno difficoltà retribuzione e benefit.
Un altro tema che ha anche il valore di una provocazione: mi accorgo che sempre di più i farmacisti sono sensibili a proposte che puntano alla partecipazione societaria con l’acquisto di quote della farmacia. E’ un approccio moderno che è indice di propensione al rischio imprenditoriale e ritengo che sia quindi da lodare e premiare. Il titolare, in questo caso, deve essere propenso a fare un passo indietro ma, parere personale, per farne due avanti in futuro. Il tema di come alzare le retribuzioni dei farmacisti è molto complesso, quindi condividere il rischio imprenditoriale con altri soggetti cedendo qualcosa in gorvernance della farmacia può veramente incidere sulla soddisfazione professionale ed economica del personale.