Alle catene che appartengono al capitale le farmacie rurali non interessano, sono fuori dai loro radar. È una frase che si è sentita ripetere spesso, prima e dopo la Legge sulla concorrenza del 2017; poi, qualche settimana fa, la notizia che nel carniere di Hippocrates è finita la farmacia dell’ex presidente di Federfarma Trento, Paolo Betti, e che questa farmacia è una rurale sussidiata. Quelle che fin qui erano considerate certezze hanno cominciato a traballare e qualcuno ha iniziato a farsi domande. Una su tutte: Hippocrates a parte, ci sono altre insegne del capitale che tra le loro filiali annoverano qualche filiale? La risposta è sì, come emerge da una veloce consultazione tra le principali catene.
Uno dei circuiti con il “tasso di ruralità” più elevato è senz’altro Farmagorà, il gruppo guidato da Francesco Carantani e Marco Premoli: su un totale di 27 farmacie acquisite, un quarto circa sono rurali e, assicura Carantani a Pharmacy Scanner, non sono state prese per caso. «Siamo la rete della farmacia di comunità» spiega il co-ceo «dunque a una rurale non diciamo certo no per principio. In secondo luogo vogliamo evitare dispersioni: se con l’acquisto di una rurale preserviamo la continuità della rete e ne consolidiamo la densità allora ben venga, si semplifica la gestione e cresce la brand awareness». La valutazione dell’eventuale compravendita, tuttavia, passa dall’analisi di alcuni requisiti. «Il più importante in caso di rurale» conferma Carantani «è la presenza di un team solido che non sia da rifondare: in una piccola comunità i rapporti umani sono fondamentali, e poi con la carenza di personale che c’è di questi tempi le farmacie sotto organico sono un acquisto da valutare con molta attenzione».
Anche Neo Apotek conta nel suo circuito una discreta rappresentanza di farmacie rurali. «Sono un po’ meno del 10% del totale» dice Andrea Riva, amministratore delegato «siamo interessati quando l’esercizio mostra un buon potenziale e un conto economico sano, poi noi interveniamo per ottimizzare la marginalità». Va ridimensionato, dunque, il luogo comune secondo il quale alle catene le rurali non interesserebbero. «Tante di queste farmacie hanno un alto potenziale» conferma Riva «anche perché operano in bacini per così dire “protetti”, cioè dove la concorrenza scarseggia e se proponi qualche servizio innovativo, l’holter per esempio, non hai rivali. Inoltre il contesto è più tranquillo: gli orari sono meno dilatati e il personale è sottoposto a tensioni sostenute».
Rispetta fedelmente il cliché invece Farmacie Italiane, la catena controllata da F2i che, secondo i numeri forniti dal gruppo, annovera attualmente 51 farmacie di proprietà. «Non abbiamo rurali in carniere» dice a Pharmacy Scanner il direttore generale, Umberto Gallo «d’altronde non risponderebbero al nostro format: le nostre filiali sono tutte ubicate nelle grandi città, oppure in zone ad alto traffico come aeroporti e stazioni». Sta avanti ma di poco Boots, la catena di Alliance Italia, che su un totale di 73 farmacie di proprietà (comunali comprese) annovera una rurale soltanto. «È in Toscana» spiega Diego Ami, direttore generale della catena «ma non disdegneremmo altri acquisti se ne presentasse l’occasione: gli sgravi fiscali che comportano sono interessanti. I criteri di selezione? Uno solo: la vicinanza agli altri asset della nostra insegna, per fare densità».