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Farmacie del capitale, la ridda sui numeri e perché la soglia del 5% è tanto importante

Filiera

Per qualcuno si aggirano attorno al migliaio, per altri sono meno della metà. È ridda di cifre sul totale delle farmacie del capitale dopo l’articolo del Sole 24 Ore di martedì 4 ottobre che tira un bilancio sullo sviluppo di reti e catene. Il servizio, che cita un’analisi di Iqvia, parla di un 5% di farmacie sotto le insegne del capitale (in cifra un migliaio) e di un altro 10% (cioè duemila circa) indipendenti ma inquadrate in reti dai diversi livelli di affiliazione. Messe assieme le due tipologie, fanno circa tremila esercizi che numericamente rappresentano il 15% delle farmacie in attività in Italia e per fatturato pesano un paio di punti in più, il 17% circa.

Contesta le cifre il presidente di Federfarma, Marco Cossolo, che in un’intervista all’house organ del sindacato, Filodiretto, fornisce numeri nettamente diversi: la sua fonte è l’Enpaf, che annualmente censisce le società dove la maggioranza della proprietà e di non farmacisti per la riscossione del contributo dello 0,50%. Dall’ultimo conteggio, riferisce Cossolo, risultano circa 680 società assoggettate al prelievo, ossia 190 società di persone, 13 cooperative e 474 società di capitali. «Per quanto ci risulta» conclude il presidente di Federfarma «il numero effettivo di società di farmacie appartenenti a vere e proprie catene è di poco inferiore a 500».

 

La distribuzione delle farmacie di catene e network secondo iqvia

 

Anche il conteggio di Cossolo, tuttavia, si attira qualche critica dagli addetti ai lavori. Per cominciare va considerato che l’Enpaf – ai fini dello 0,50% – conta le società e non le farmacie, che non sempre sono la stessa cosa; quando comprano, infatti, i gruppi del capitale tendono a preservare l’assetto dell’esercizio acquisito: se è una singola farmacia, la holding la ingloba come società a se stante; se invece il deal riguarda tre o quattro punti vendita che già erano organizzati in società dal precedente titolare, è solitamente quest’ultima a entrare.

In più, non va dimenticato che i dati dell’Enpaf risentono di un “ritardo” temporale: le società, infatti, versano la contribuzione entro il 30 settembre dell’anno successivo alla chiusura dell’esercizio, quindi i numeri di oggi fotografano la situazione dell’anno precedente. Sembrano non aggiornatissimi anche i dati di Mediobanca, che nel suo recente report sulla farmacia italiana scatta un’immagine risalente forse alla fine del 2021 o ai primi mesi del 2022. In ogni caso, per l’istituto milanese gli esercizi in catena ammontano al 4% delle farmacie esistenti in Italia e generano il 5,7% del fatturato del canale, le farmacie in rete invece rappresentano il 20% e producono il 21% del giro d’affari complessivo.

I numeri insomma differiscono a seconda delle fonti e non per errori o imprecisioni: il fatto è che acquisizioni e affiliazioni si succedono di mese in mese e per misurarle servirebbe un contatore come quelli che un tempo utilizzavano i siti internet per conteggiare i visitatori. Anche Pharmacy Scanner ha i suoi numeri, che arrivano dagli articoli dedicati periodicamente all’espansione delle catene: Hippocrates riporta 270 farmacie già integrate nel circuito e altre 70 con preliminare già firmato; Lloyds Farmacia ne conta 260, in maggioranza comunali; Neo Apotek dice di mettere assieme circa 150 farmacie, più un’altra cinquantina con due diligence in corso; quelle di Boots sono 73 (anche in questo caso con una buona fetta di comunali) e, come ha riferito qualche mese fa a Pharmacy Scanner da Diego Ami, direttore generale della catena, per la fine dell’anno se ne dovrebbero aggiungere altre tre; a Farmacie Italiane fanno capo 47 farmacie (sul suo sito c’è l’elenco), Dr.Max dice 47 e Cef-La Farmacia Italiana somma 40 esercizi di proprietà. Il totale fa poco più di 800 e alla conta mancano le “piccole” catene come Farmagorà (24 esercizi) e Valuefarma (15 tra acquisiti e compromissati).

Non si pensi però che questa ridda sui numeri sia soltanto un battibecco contabile. La realtà invece è che dietro c’è molto di più: secondo le norme, la quota del 5% rappresenta infatti la soglia oltre la quale scatta la rappresentatività sindacale che dà diritto a partecipare ai tavoli contrattuali nazionali (per esempio con la Sisac ai fini delle nuove convenzioni) e a quelli regionali (per le convenzioni integrative, gli accordi sulla dpc e via a seguire). Il giorno in cui le catene sommeranno matematicamente il 5% delle farmacie italiane, potranno cominciare a riflettere seriamente sull’eventualità di costituire un polo sindacale autonomo, che le rappresenti davanti a Regioni e Ssn. E non è fantascienza, visto che tra le insegne del caitale qualcuno avrebbe già cominciato a fare le prime riflessioni.

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