Farmacia dei servizi, doppio assedio: da fuori polemiche sulla qualità, da dentro dubbi sulla sostenibilità. Proviamo a ragionare
Prima l’inchiesta di Milena Gabanelli e Simona Ravizza per la rubrica Dataroom del Corriere della Sera, una settimana fa, poi ieri sera il reportage de Le Iene. E in mezzo la presentazione del VII Rapporto di Cittadinanzattiva e Federfarma, mercoledì 26 febbraio a Roma. Settimana intensa per la farmacia dei servizi quella che si è appena conclusa, con un florilegio di dati e polemiche che ora vanno filtrati e metabolizzati. Cominciamo dai primi, quelli dell’indagine di Cittadinanzattiva: oltre il 73% delle farmacie – è la macroevidenza che emerge dal Rapporto – risulta ormai coinvolto nella sperimentazione della farmacia dei servizi, una quota in crescita rispetto ai primi anni di rilevazione, quando il dato si attestava intorno al 60%. Per quanto concerne la telemedicina, in particolare, supera il 70% la quota delle farmacie che oggi offre il telemonitoraggio della pressione arteriosa (era il 10% nel 2028) e sono il 76,5% quelle che propongono la telecardiologia (28%).Quanto allo screening per il tumore al colon-retto, offre oggi il servizio il 78,8% degli esercizi contro il 18% del 2018 (avvertenza: il campione che ha partecipato alla survey somma 1.600 farmacie).[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]
Cittadinanzattiva, quali i servizi in farmacia più richiesti

Un conto però è l’offerta e l’altro la domanda. E a tal riguardo il Rapporto di Cittadinanzattiva-Federfarma mostra più ombre che luci: dalle risposte del campione messo assieme per l’indagine (1.200 individui) emerge infatti evidente un problema di comunicazione: soltanto l’11,5% degli intervistati dichiara di essersi rivolto a una farmacia per la vaccinazione antiflu, il 15,2% per un’ecg, il 13,1% per un holter pressorio, il 19% per test o esami vari. Ben altri tassi per i servizi “storici” della farmacia: monitoraggio parametri 45,7%, prenotazione e ritiro dei farmaci 84%, Cup 34,7%, tampone covid 71,4%. Quest’ultimo è il caso più emblematico: le farmacie hanno cominciato a offrire il servizio soltanto con la pandemia, ma la stampa ha scritto sul tema così tanto (soprattutto nei momenti più critici dell’emergenza) che si può dire fossero informati anche i sassi.
D’altronde, che in tema di servizi ci sia uno squilibrio tra domanda e offerta lo dimostrano anche i dati che continuano ad arrivare dalle regioni: in Basilicata, le 136 farmacie che hanno partecipato alla sperimentazione hanno effettuato in otto mesi 4.428 elettrocardiogrammi, 2.937 holter cardiaci, 1.537 gli holter pressori e 84 spirometrie. Ciò significa che in media ogni farmacia ha effettuato in una settimana 1,01 ecg, o,67 holter cardiaci, 0,35 holter pressori e 0,02 spirometrie. In Veneto, invece, le 620 farmacie aderenti alla sperimentazione hanno erogato in sei mesi 4.862 ecg (cioè 0,3 alla settimanale per esercizio), 3.959 holter cardiaci (0,2), 2.171 holter pressori (0,1), 28.317 screening del diabete (1,6). In Lombardia, infine, in nove mesi di sperimentazione (gennaio-settembre 2024) si registra una media settimanale di 0,6 ecg a farmacia, 0,4 holter cardiaci e 0,3 holter pressori. «A livello regionale si osservano performance estremamente diverse» osserva Alberto Pravettoni, direttore generale di Cgm Telemedicine «ci sono aree dove i numeri sono decisamente deludenti e altre invece che corrono. Per esempio la Val d’Aosta, che non a caso ha inserito le farmacie nel Cup in modo che i pazienti, quando devono prenotare un’ecg, trovano anche loro. Pure in Calabria e Campania stanno lavorando molto bene».
Le medie della sperimentazione, in ogni caso, dimostrano che sulla farmacia dei servizi continua a gravare un problema di comunicazione. «Ne parliamo dal 2010» conferma Pravettoni «ma è una discussione che finora è rimasta confinata tra farmacisti e addetti ai lavori. La stragrande maggioranza degli italiani non ne sa quasi niente e se ci sono farmacie che comunicano bene e tanto, ce ne sono altre invece che proprio non fanno nulla e rimangono ad aspettare». Le percentuali che arrivano da alcune regioni, così, vanno prese come la classica media del “mezzo pollo” che mette assieme bravi e meno bravi. «Come dimostra una piccola survey realizzata su un campione ristretto di farmacie» dice Alessandro Orano, ceo di Skills for health, che ha aperto da poco la seconda edizione del Master Executive in Management della Farmacia della Saa di Torino «ci sono farmacisti che sono partiti per tempo e oggi macinano centinaia di prestazioni al mese e altri che ancora non si sono attrezzati o lo stanno facendo e nemmeno hanno cominciato a comunicare. E così non riescono a fare più di una o due prestazioni alla settimana».
Survey spot: poche farmacie fanno tanto, tante fanno poco

Un dubbio però si fa strada: le farmacie che fanno meno di una prestazione a settimana, hanno soltanto bisogno di organizzarsi per andare ad aggredire una domanda che oggi resta insoddisfatta, oppure va comunque considerato che il mercato è quello che è? È una domanda più che legittima, considerato che – se è vero che di farmacia dei servizi si parla dal 2010 – nessuno finora ha proposto una stima del potenziale business in gioco, ossia ciò che solitamente fanno le aziende quando entrano in un nuovo mercato. «Attualmente il mercato di analisi e prestazioni di telemedicina vale circa 50-60 milioni l’anno» è la valutazione di Davide Muci, amministratore delegato di Akodoc, provider di servizi per la farmacia «è evidente quindi che le farmacie al momento intercettano soltanto una fetta della domanda». «Una valutazione adeguata del mercato deve anche guardare in prospettiva» aggiunge Orano «questo è un business che vale oggi attorno ai 40 milioni – 50 se sommiamo analisi e telemedicina – ma promette di crescere a tassi anche del 20% all’anno; le farmacie che oggi fanno più di cento prestazioni al mese sono già largamente in equilibrio economico e quelle che risultano in attivo stanno guardando ad altre prestazioni da integrare nel loro menù dei servizi. Sull’altro piatto della bilancia, ci sono invece le farmacie che si sono dotate di macchine di prim’ordine ma al momento le tengono lì, perché non hanno costruito attorno un business plan».
Per Orano, si può addirittura parlare di una sorta di “piramide” della farmacia dei servizi: «Quelle che oggi sono strutturate come una vera farmacia dei servizi» osserva «non sono più di una su dieci; una su tre sono invece quelle che dispongono almeno di uno spazio dedicato dove offrono servizi base a partire dal controllo della pressione; una su due, infine, propone giornate di prevenzione con apparecchi forniti dal provider o dal distributore e spazi più o meno provvisori. Per queste ultime è legittimo parlare di un percorso di crescita: iniziano così per fare esperienza e capire qual è la potenzialità del loro bacino di riferimento, poi nel tempo si organizzano e si strutturano». «La farmacia dei servizi, come ogni nuova realtà in fase di consolidamento, ha bisogno di sperimentazione e di aggiustamenti progressivi per ottimizzare il modello e farlo funzionare al meglio» è la valutazione di Bianca Acanfora, titolare a Trieste di una farmacia da più di duemila prestazioni all’anno tra telemedicina, analisi e infermieristica «la stessa scelta dei servizi deve basarsi su un’analisi strategica del bacino di riferimento (strutture sanitarie nelle vicinanze, presenza di stakeholder) e una profilazione della clientela. Non tutti i servizi sono economicamente sostenibili per ogni farmacia, alcuni richiedono ambienti dedicati, privacy e attrezzature specifiche e la farmacia si deve adoperare in tal senso».
L’errore, in ogni caso, è quello di avere in farmacia le attrezzature per fare telemedicina o Poct e stare ad aspettare. «L’apparecchio di telemedicina non è una slot machine, che ti basta attaccare la spina e subito c’è la fila per tirare la leva» osserva ancora Muci «occorre prendere l’iniziativa, comunicare». «Ci sono farmacie che quando propongono l’ecg» osserva Pravettoni «lo fanno sapere ai medici della loro zona, informano scuole e palestre, informano attraverso social e media locali. E altre invece che indugiano nell’attendismo». Il rischio è quello di entrare in un circolo vizioso: «Chi fa non più di uno o due prestazioni al mese» avverte Pravettoni «non fa pratica e così dimentica le procedure».
Se comunicare è importante, anche il che cosa comunicare ha la sua rilevanza: considerato che in futuro ci saranno altri servizi come quelli di Dataroom o de Le Iene, diventa opportuno chiedersi se le farmacie non dovrebbero cominciare a far passare certi messaggi con l’obiettivo di essere più trasparenti e chiari nei confronti del loro pubblico. Di più: forse servirebbe condividere tra tutte le farmacie formule univoche sullo stile delle “avvertenze” che compaiono sulle confezioni dei farmaci. «L’esigenza c’è» ammette Orano «perché la singola farmacia non è in grado di fare tutto. Sarebbe quindi opportuno rivolgersi a un fornitore, una cooperativa, un network o qualche altro soggetto più strutturato che oltre a mettere a disposizione le macchine fornisca anche volantini e materiale informativo». «Noi lo facciamo» interviene Pravettoni «ma ci sono titolari che finiscono per lasciare cartelli e totem dietro agli altri espositori o li nascondono in un angolo della farmacia». «Per togliere preventivamente spazio alle polemiche» osserva Muci «potrebbe essere d’aiuto specificare sui cartelli del punto vendita che elencano i servizi offerti ogni quanto tempo vengono revisionate le macchine, in modo da inviare un messaggio chiaro e univoco alla clientela». «Visti gli attacchi più recenti» interviene Pravettoni «sarebbe senz’altro opportuno che nella sua comunicazione in-store la farmacia ricordasse anche qual è valore e finalità dei cosiddetti test point of care, ossia il monitoraggio continuativo di alcuni indicatori nell’ambito della presa in carico di una specifica condizione di cronicità. Fare chiarezza aiuta tanto il paziente quanto la farmacia». «La comunicazione chiara e corretta dei servizi offerti in farmacia è un aspetto essenziale» osserva Acanfora «e fornire alle farmacie alcune linee guida comuni sarebbero senz’altro utili, come avviene in ambito sanitario dove esistono regole di comunicazione per garantire chiarezza, trasparenza e correttezza dell’informazione».
Infine, se è il caso di cominciare a pensare a una sorta di “protocollo” che elenchi contenuti e caratteristiche della comunicazione in farmacia sui servizi, sarebbe forse anche il momento di ragionare su protocolli di percorso, che dicano al farmacista quali sono procedure e percorsi da seguire nell’esecuzione di analisi e prestazioni varie: troppe volte, negli articoli di stampa che sempre più spesso riportano casi di pazienti salvati da un’ecg in farmacia, si osservano comportamenti difformi da farmacia o farmacia. «Ci sono farmacisti che improvvisano o si attengono alle indicazioni del proprio fornitore» osserva Orano «sarebbe invece un segnale di chiarezza anche nei confronti degli assistiti se in tutte le farmacie si seguissero le stesse procedure. La cosa migliore sarebbe che Federfarma, d’intesa con qualche società medico-scientifica, elaborasse un protocollo come ci sono in tutte le strutture sanitarie, magari non limitato soltanto alle procedure ma esteso anche alla deontologia, al trattamento dei dati e alla sicurezza». «I produttori più seri forniscono indicazioni sulle procedure consigliate» osserva Pravettoni «per esempio noi al farmacista che effettua un’ecg forniamo un protocollo per cui in caso di pazienti in condizioni che paiono critiche è possibile chiedere alla centrale di telerefertazione priorità urgente. Ma se ci fosse un protocollo unico a livello nazionale, validato da una società scientifica, si alzerebbe l’asticella della farmacia dei servizi». «La definizione di protocolli uniformi è senz’altro auspicabile per dare una sicurezza di reale adeguata esecuzione del servizio» è il parere di Acanfora «io per esempio mi sono data protocolli molto rigidi ma è stata una mia personale scelta. Tuttavia, l’attuazione di protocolli standardizzati a livello nazionale deve necessariamente confrontarsi con differenze regionali, normative locali e modalità di recepimento dei decreti. Ciò può rendere più complessa la creazione di un modello unico applicabile ovunque». «Noi poniamo molta attenzione alla formazione del farmacista su processi e metodiche da rispettare al fine di garantire degli elevati standard sulla prestazione erogata» osserva Muci «però concordo sull’importanza di una corretta comunicazione. Niente va lasciato al caso».
Se non altro, si spegnerebbe qualche polemica di troppo. «Dataroom e Le Iene sembrano disegnare uno scenario dove la diagnostica fatta in ospedali, case di cura e laboratorio ha uno standard unico ed elevatissimo. Invece anche in questi canali ci si imbatte in apparecchiature e device spesso molto vecchi, le farmacie invece dispongono di modelli che vanno dalla fascia “consumer” fino all’uso professionale ma sono di solito di recente fabbricazione. Se verificano di avere tutte le certificazioni richieste (Ce, Ivdr, Poct, Npt), hanno i requisiti tecnico-funzionali richiesti e seguono quanto previsto dai manuali d’uso delle macchine, possono stare tranquille. E Asl e Nas verificano continuamente, altro che il liberi tutti di cui parlano Gabanelli e le Iene».