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Esposizione e layout, ancora troppi gli errori che si vedono nelle farmacie

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Il mondo del retail ha sempre dato molta importanza all’esposizione: librerie, negozi di abbigliamento e arredamento, supermercati, profumerie studiano in maniera scientifica la disposizione dei prodotti, i punti promozionali, percorsi di acquisto. L’idea è che tutto lo spazio debba parlare al cliente, rispondere alle sue esigenze, soddisfare i suoi bisogni, spesso senza che sia necessaria la vendita assistita. L’esposizione è a tutti gli effetti una vendita muta, strutturata per essere leggibile da tutti.

E in farmacia? Le esperienze sono variegate ma si percepisce ancora una certa fatica nel comprendere fino in fondo la potenza di una buona esposizione e di un layout perfettamente studiato. Troppo spesso si vedono percorsi verso il banco simili a sentieri tibetani, ingombrati da espositori da terra, tavolini o cestoni fai da te instabili e ricolmi di prodotti.

Gli scaffali? A volte sono molto belli, peccato che spesso non siano funzionali all’esposizione: non permettono flessibilità nello spostamento dei ripiani e sono privi della profondità sufficiente per accogliere prodotti di grandi dimensioni, per esempio la scatola di un aerosol. La principale funzione degli scaffali è quella di far emergere l’assortimento della farmacia: sono i prodotti a dover essere visti, e non il ripiano in legno massello.

L’offerta, inoltre, andrebbe divisa in categorie omogenee, e le categorie strutturate in sequenze precise. Molte farmacie, invece, utilizzano gli scaffali come se fossero una prosecuzione del magazzino, con la merce distribuita senza un criterio di lettura (no, l’ordine alfabetico per il cliente non è un criterio di lettura!). Il peggio di solito si osserva nel reparto dermocosmesi (a proposito, vi siete mai chiesti qual è il punto migliore per sistemare la dermocosmesi?): linee spesso incomplete, assortimento sovrabbondante nel tentativo di fare vedere che “si ha tutto” o, peggio ancora, prodotti trincerati in vetrine chiuse con il lucchetto.

Più volentieri, invece, si lasciano al libero servizio l’ortopedia e le calze. Occupano metri lineari preziosi, sebbene il loro peso sul fatturato della farmacia rappresenti mediamente lo 0,20% e lo 0,11% rispettivamente. Persino i prezzi esposti restano una chimera, nonostante siano obbligatori per legge. E attenzione: il prezzo promo urlato da un foglio giallo fosforescente a forma di stella o da una nuvoletta rosa shocking non basta per dire che l’obbligo è stato assolto.

Insomma, comunicare in farmacia non è un mestiere facile. Ogni dettaglio va studiato e realizzato nel migliore dei modi: crowner di scaffale, reglette, promostop dovrebbero essere termini e strumenti familiari, ma – vista la loro diffusa assenza nelle farmacie – sono ancora un mistero per molti titolari.

La comunicazione, poi, non è solo “in-store”. Inizia dall’esterno, a cominciare dalle vetrine (che sono lo specchio di quello che il cliente troverà dentro) e dall’insegna, che dovrebbe cominciare a differenziare una farmacia dall’altra. Se riporta solo la parola “Farmacia” come farà a emergere tra le altre 19mila?

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