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Dolore cronico, da Fondazione Isal survey che indaga su opinioni e vissuto dei farmacisti

Filiera

Il dolore cronico è un problema prioritario di salute pubblica in tutto il mondo. In Italia colpisce circa un individuo su quattro, con drammatiche conseguenze fisiche e psicosociali sulla persona affetta e sull’ecosistema familiare e sociosanitario. Nel nostro Paese, la legge 38/2010 sancisce il diritto alla cura del dolore e riconosce il ruolo cruciale dell’integrazione tra diverse figure professionali, compresa quella del farmacista, con l’obiettivo di garantire la continuità assistenziale della persona con dolore cronico. Nella rete dei servizi a supporto della persona con dolore cronico la figura del farmacista può rappresentare una guida capace non solo di intercettarne timori e dubbi nella cura, ma anche di consigliare il buon uso dei farmaci nella quotidianità, con particolare attenzione agli analgesici centrali, specie oppiacei, educando sulla loro sicurezza e sulla prevenzione dei rischi derivanti da abusi e inappropriatezze.

Il progetto “Morfeo” di Fondazione Isal, con il contributo incondizionato di Sandoz, nasce da queste premesse e ha lo scopo di sviluppare una rete di farmacie esperte nel governo dei farmaci oppiacei per la terapia del dolore cronico. Nella prima fase è stata avviata un’indagine online volta a raccogliere dati sulle attitudini della rete delle farmacie a guidare le persone verso il buon utilizzo dei farmaci per la cura del dolore, con una specifica attenzione alla categoria oppioide. L’indagine online si è sviluppata tra aprile e ottobre 2022, e l’invito alla sua compilazione è stato diffuso attraverso i canali social di Fondazione Isal e Sandoz, gli ordini provinciali dei farmacisti, le principali società scientifiche, associazioni e fondazioni attive nel settore, nonché la rivista Pharmacy Scanner.

Nel complesso sono stati compilati 211 questionari. L’età dei partecipanti è compresa tra i 24 e i 74 anni (media 47 anni). Il campione è composto per il 68,7% da soggetti di sesso femminile e per il restante 31,3% di sesso maschile. La maggior parte di partecipanti (24,2%) ha dichiarato di vivere in Veneto. Altre regioni ben rappresentate sono l’Emilia-Romagna (16,6%) e la Lombardia (14,7%).

 

 

Quasi l’intero campione si è dichiarato in accordo con la visione del dolore cronico come vera e propria malattia (grafico sopra), che può interferire gravemente con la qualità della vita di chi ne è affetto producendo significative disabilità e comorbilità. Anche la rappresentazione dei farmacisti sembra dunque ben allineata con quanto espresso dalla legge 38/2010. Coerentemente con tale rappresentazione, gran parte dei rispondenti ha dichiarato importante la cura del dolore anche se non è possibile curare la malattia che lo sta causando. Diventa perciò essenziale, anche per i farmacisti, che le persone non vivano in una condizione di sofferenza anche quando una completa guarigione non è possibile. Nei farmacisti, la forte consapevolezza del dolore come malattia sembra esprimersi anche nella conoscenza, da parte del 94,8% dei rispondenti, dell’esistenza di centri di terapia del dolore, che tuttavia per il 55,9% del campione sono ritenuti non adeguati alle esigenze dell’utenza. Questo dato rappresenta un importante elemento di riflessione, specie considerando il rapporto quotidiano del farmacista con la popolazione.

Circa il 70% dei farmacisti, inoltre, stima che siano una decina le persone che ogni giorno chiedono informazioni sul dolore cronico o sui farmaci per la sua cura (magari perché già informate da altre figure professionali). Quasi la totalità dei partecipanti, precisamente il 96,2%, dichiara però di ritenere opportuno dare consigli sul buon uso di farmaci, sulle loro modalità di assunzione, su quali fenomeni avversi attendersi e come gestirli. Si evidenzia quindi un forte senso di responsabilità percepito dai farmacisti nel sentirsi parte della cura e quindi nel guidare le persone nell’utilizzo dei farmaci.

Riguardo alla classe di farmaci analgesici da considerare la “prima scelta” nel dolore cronico moderato/severo, la maggior parte dei farmacisti (il 46,9%) ritiene – a ragione – che la selezione dipenda dalla tipologia di dolore in atto (neuropatico, nocicettivo, infiammatorio). Tra chi invece indica uno specifico farmaco come prima scelta, il più citato è il paracetamolo, forse per una consuetudine legata alla cultura farmacologica e alla cautela. È però interessante sottolineare come gli oppioidi deboli abbiano quasi parificato l’uso dei Fans (8,5% vs 10%). È altrettanto importante sottolineare che gli oppioidi vengono indicati come utili prettamente nelle malattie oncologiche (83,4%); ciò potrebbe evidenziare la presenza di timori nell’uso di queste molecole in altre patologie come quelle reumatiche (2,8%), in cui tuttavia l’oppioide può avere effetti positivi.

Un altro risultato interessante proviene dalle domande che indagano ciò che i farmacisti pensano riguardo al modo in cui gli oppiacei vadano impiegati nelle malattie per cui sono indicati. In generale appare minoritaria l’idea che vadano usati al bisogno o ci sia un limite temporale predeterminato al loro utilizzo. Emerge però una differenza nel ritenere l’oppiaceo da usare “nei periodi di dolore severo” o “finché c’è dolore in atto” in base al dolore considerato. Nel dolore non oncologico, infatti, la maggior parte dei farmacisti rispondenti (il 55,9%) ritiene che gli oppiacei vadano usati solo nei periodi di dolore severo, e solo il 19,4% pensa vada impiegato finché c’è dolore in atto. Il dato cambia nel trattamento del dolore oncologico: il 65,9% dei farmacisti ritiene infatti che nel dolore da tumori gli oppiacei andrebbero usati finché c’è dolore in atto. Sembra quindi emergere la percezione per cui soffrire di un dolore oncologico sia talmente disumano, in una fase di vita in cui è già presente tanta disperazione e altre problematiche, che in quel caso la sola presenza di dolore viene percepita come un problema prioritario da curare indipendentemente dalla sua severità.

Rispetto alle formulazioni di oppiacei più indicate nella pratica clinica, emerge che quelle intramuscolari sono quasi totalmente scomparse (sono state reputate utili dal solo 2% dei farmacisti rispondenti all’indagine). Le formulazioni transnasali ed endovenose, che sono quelle che possono creare gran parte dei problemi di dipendenza, sono state ritenute utili – rispettivamente – dal 3% e dal 3,3% dei farmacisti. La scelta dei farmacisti va quindi nella direzione di formulazioni orali o transdermiche, più semplici da utilizzare e ritenute utili dal 28,4% e nel 34,1% dei farmacisti.

Per quanto riguarda il pericolo di interazione con altri farmaci, la maggior parte dei rispondenti (il 52,1%) ritiene particolarmente pericolosa l’associazione con altri oppioidi, soprattutto per la difficoltà di gestione che ne può derivare. Una quota minoritaria dei rispondenti reputa invece pericolosa l’associazione con farmaci che hanno effetti sullo stato di coscienza (cannabinoidi, ansiolitici), ritenendo che la somma di farmaci con effetto centrale possa creare maggiori difficoltà.

 

 

Riguardo alla propensione verso i farmaci oppiacei e il loro utilizzo nella terapia del dolore, emerge dalla survey un dato importante che rende visibile la resistenza all’uso degli oppioidi nel nostro Paese. Solo il 28,9% circa dei rispondenti pensa infatti che siano prescritti in maniera appropriata in relazione ai bisogni dell’utenza, mentre oltre il 50% pensa siano prescritti in modo un po’ insufficiente (il 37,9%) o insufficiente (il 12,8%), e solo lo 0,9% ritiene siano prescritti in modo eccessivo (grafico sopra).

Sembra quindi assente, almeno tra i farmacisti che hanno preso parte all’iniziativa, un allarme rispetto all’uso esagerato di oppioidi o di pericoli collegati. Questo è un dato importante, specie considerando che proviene dalle figure professionali deputate proprio alla dispensazione dei farmaci. Tra i farmacisti che hanno ritenuto la prescrizione di oppiacei un po’ eccessiva o eccessiva, solo il 26% ha giudicato l’oppioide pericoloso per la salute e la maggior parte hanno ritenuto questa categoria di farmaci per lo più inadatta in relazione alla specifica condizione medica del paziente. Riguardo alle conseguenze, positive o negative, associate alla terapia con farmaci oppiacei, i farmacisti rispondenti all’indagine hanno presentato idee differenti. Tra le conseguenze positive è stata indicata la possibilità che migliorino la prognosi o il tempo di guarigione (indicata dal 29,9% dei farmacisti). Le conseguenze negative, invece, riguardano prevalentemente il pericolo di abuso e uso improprio, segnalati rispettivamente dal 17% e dal 26% dei partecipanti.

Analizzando nel complesso le conseguenze positive/negative legate all’uso di oppioidi, si può notare comunque un certo equilibrio tra le due percezioni, come se l’idea di utilità per la guarigione e il miglioramento dello stato di salute sia in equilibrio con un atteggiamento prudenziale che suggerisce una cautela nell’uso di oppioidi per il rischio di abuso e uso improprio. Il rischio di abuso è comunque il principale limite associato all’uso degli oppioidi e ciò può aiutare a comprendere perché molti farmacisti (più del 50%) ritengano necessario aumentare il monitoraggio del loro utilizzo, attualmente percepito come scarso o inadeguato.

Un ulteriore dato da sottolineare è che gran parte dei farmacisti (il 63,5%) non ritiene l’età un limite per la prescrizione di oppiacei, ma solo un elemento cui prestare attenzione. La restante parte dei farmacisti ha mostrato pareri eterogenei, temendo la prescrizione a individui con età minore di 18 anni (almeno senza un attento monitoraggio) o superiore ai 90. Tali considerazioni appaiono adeguate rispetto alla minore età, poiché è risaputo quanto un uso impreciso degli oppioidi in pazienti giovani possa generare errori di gestione e utilizzo che possono rivelarsi importanti. L’idea di pericolosità sopra i 90 anni, invece, potrebbe essere associata alla possibilità di una polifarmacologia in pazienti anziani in grado di comportare maggiori rischi di interazione.

Sembra anche emergere, tra i farmacisti rispondenti all’indagine, la percezione che il riferimento principale per la gestione del paziente con dolore cronico sia il medico specialista del dolore (lo pensa il 64,5% del campione), seguito dal medico di altre specialità (il reumatologo o l’ortopedico) e dal medico di famiglia, indicati rispettivamente dal 29,4% e dal 25,1% del campione. C’è anche una netta presa di consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo professionale: l’84% del campione ritiene infatti che la figura del farmacista possa avere un ruolo importante nel guidare il paziente verso un buon uso dei farmaci oppioidi, comprendendo bene però che per assolvere a questa funzione sia necessaria una maggiore formazione che aiuti a costruire una community di farmacisti esperti sul tema. La maggior parte dei rispondenti, infatti, ritiene di avere una formazione intermedia e non perfettamente compiuta, sia sui farmaci oppiacei per la terapia del dolore cronico (il 51,7%) sia più in generale sul dolore cronico (il 58,3%). Tutto ciò diviene importante soprattutto riguardo alla specificità dei farmaci oppiacei, forse i più contraddittori nel mondo della cura. Come emerso da alcune ricerche internazionali[1], infatti, in Italia l’uso di oppioidi è di gran lunga inferiore a quello registrato in altri paesi europei e negli Usa, e secondo il più recente rapporto OsMed[2] è addirittura diminuito dell’1-2%. Le ragioni di queste difficoltà sono molteplici, non ultimo il timore rispetto al pericolo di abuso nato Oltreoceano. È tuttavia proprio per queste difficoltà che una formazione ottimale sui farmaci oppioidi potrebbe essere essenziale per il loro buon utilizzo. In effetti, quasi la totalità dei farmacisti ha dichiarato che l’importanza dell’argomento li porta a desiderare di apprendere ancora di più sul tema, ritenendo che sul dolore e la sua cura sia per loro necessaria una formazione ancor più raffinata. Viene quindi chiaramente manifestata un’esigenza formativa che segnala la necessità di un cambiamento nell’educazione della figura del farmacista, affinché possa guidare al meglio il paziente con dolore cronico.

Per concludere, l’indagine ha certamente svelato un interesse dei farmacisti a essere coinvolti sul tema del dolore cronico, come testimoniato dalla consistente partecipazione all’indagine e dal desiderio di una maggiore formazione sul tema, espresso dalla maggior parte dei partecipanti. Ha inoltre consentito di ottenere risultati utili per gettare le basi di programmi formativi in grado di rafforzare le competenze dei farmacisti italiani sul tema del dolore cronico e costruirne un ruolo di specificità professionale nel sempre più strutturato percorso di sostegno ai bisogni delle persone che ne sono colpite, a beneficio non solo di tutta la categoria professionale, ma anche dei milioni di italiani con sindromi dolorose croniche. Appare dunque di fondamentale importanza promuovere, in un futuro prossimo, lo sviluppo di una rete di farmacie esperte anche nel campo del dolore cronico, che sappiano guidare i cittadini verso la migliore gestione di questo grande problema di salute pubblica.

[1] DeWeerdt, S. (2019). Tracing the US opioid crisis to its roots. Nature, 573, S10–S12. https://doi.org/10.1038/d4158 6-019-02686-2
[2] Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali. L’uso dei Farmaci in Italia. Rapporto Nazionale Anno 2021. Roma: Agenzia Italiana del Farmaco, 2022.

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