La Bce alza ancora i tassi, i distributori rivedono le condizioni. E pensano ai contratti 2024

Filiera

I mercati se l’aspettavano ma la botta si è sentita comunque: dopo l’intervento di agosto, la Banca centrale europea ha alzato a metà settembre il costo del denaro di un altro 0,25%, portandolo al 4,5%, il valore più alto mai raggiunto da quando c’è l’euro. E così, per diversi distributori del farmaco quella di ritoccare le condizioni finanziarie o commerciali praticate alle farmacie è diventata ancora una volta una scelta pressoché obbligata. Il motivo l’aveva spiegato qualche settimana faPharmacy Scanner il direttore generale di Farmacentro, Marco Mariani: il costo del denaro è cresciuto di circa otto volte in meno di un anno (vedi grafico sotto) e i distributori del farmaco – al credito bancario ricorrono abitualmente per la merce immobilizzata nei magazzini e gli investimenti tecnologici (fotovoltaico) – fanno sempre più fatica a reggere l’impatto.

 

Andamento dell’inflazione e dei tassi d’interesse della Bce

 

Proprio Farmacentro ha rivisto all’inizio di agosto le condizioni per farmacie clienti e socie: alle prime ha aumentato il costo per consegna a 7 euro in caso di fatturato mensile inferiore agli 8mila euro e a 4 euro in caso di fatturati superiori. Alle farmacie socie, invece, la cooperativa ha chiesto fino a dicembre un contributo forfettario mensile per i servizi, che va dai 150 ai 200 euro ed è commisurato al livello di fedeltà del titolare. «Ai soci che in cinque mesi riusciranno a incrementare il loro fatturato di 25mila euro (5.000 al mese)» si legge nella circolare con cui Farmacentro ha comunicato le nuove condizioni «offriamo l’opportunità di ricevere indietro, a gennaio, il contributo relativo alle cinque fatture pagate per il periodo agosto-dicembre».

Dall’inizio di ottobre anche Unico ha aggiornato le condizioni generali di fornitura alle farmacie: nel caso in cui il fatturato mensile di quanto ordinato rimanga inferiore a seimila euro, su ogni consegna giornaliera viene applicato un «contributo logistico» di sei euro. Se il valore della fornitura si ferma tra i sei e gli ottomila euro, invece, il fee di sei euro viene addebitato per ogni recapito giornaliero successivo al primo. Cef, invece, ha cominciato dal 9 ottobre a chiedere alle farmacie socie un contributo per le spese di fatturazione. «Questa decisione» si legge in una lettera datata 3 ottobre e firmata dal presidente Losio «si rende necessaria a causa di noti fattori esogeni, tra i quali l’incremento dei tassi di interesse e d’inflazione applicati servizi bancari». In sintesi, la cooperativa applicherà un fee di 2,50 euro su ogni fattura emessa settimanalmente. «Con l’obiettivo di contenere, almeno in parte, l’impatto di questa misura sul bilancio della farmacia» avverte comunque la lettera «ti anticipiamo che stiamo introducendo delle novità nella procedura resi che prevedono, solo per i soci, l’eliminazione di limiti temporali nella restituzione di merce con congrua scadenza».

Il novero dei distributori costretti ad aggiornare condizioni o costi del servizio potrebbe però allungarsi. Quella della fatturazione settimanale già adottata da Cef, per esempio, è una modalità su cui starebbero ragionando diversi grossisti, perché consentirebbe di applicare gli interessi sulle dilazioni anche prima dei canonici 30 giorni. E poi girano voci riguardo a distributori che avrebbero ritoccato condizioni o termini del servizio senza avvertire le farmacie socie o clienti, oppure che – sempre senza alcuna comunicazione preventiva – avrebbero smesso di coprire alcune zone dove i costi di consegna non sono più sostenibili. Che sia effettivamente così o no, è comunque sicuro che il grande tema su cui le aziende del comparto stanno già ragionando in vista dei rinnovi contrattuali per il 2024 è il passaggio al cosiddetto servizio differenziato. Che, in parole povere, non significa soltanto fee aggiuntivi per le consegne alle farmacie che effettuano ordini sotto una certa soglia, ma anche tetti o contingentamenti dei passaggi per i titolari meno “fedeli”.

Sempre che dall’Europa non arrivino altri provvedimenti “deflagranti”. Secondo l’Ansa, infatti, la Commissione Ue avrebbe in cantiere un giro di vite su dilazioni di pagamento e relativi interessi. L’idea, in sostanza, sarebbe quella di intervenire con una proposta di regolamento che sostituirebbe la direttiva Ue del 2011 eliminando ambiguità e lacune giuridiche di quel testo. Obiettivo, intensificare la lotta ai ritardi di pagamento per tutelare piccole e medie imprese: le norme attualmente in vigore, come noto, impongono pagamenti a 30 giorni per tutte le transazioni commerciali, con estensione tuttavia a 60 giorni o più «se non gravemente ingiusto nei confronti del creditore». Ma per Bruxelles, scrive l’Ansa, questa eccezione avrebbe portato a situazioni in cui i termini di pagamento arrivano anche a 120 giorni o più  e vengono spesso imposti ai creditori più piccoli.

La proposta di regolamento, così, introdurrebbe un unico termine massimo di pagamento di 30 giorni per tutte le transazioni commerciali, compresa la pubblica amministrazione. Le parti, viene precisato, «possono negoziare qualsiasi termine di pagamento, purché non superi i 30 giorni». Il testo Ue eliminerebbe inoltre l’attuale proroga a 60 giorni dei termini di pagamento per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e per le autorità che svolgono attività economiche di natura industriale o commerciale. «Un fallimento su quattro è dovuto al mancato pagamento puntuale delle fatture» ricorda la Commissione in una nota «e in media, una fattura su due nelle transazioni commerciali viene pagata in ritardo o non viene affatto pagata».

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