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Ddl Bilancio, industria furente per la misura che le taglia il margine a beneficio dei distributori

Filiera

Farmindustria parrebbe saperlo ma non lo dice, nel resto della filiera sembra essere buio fitto. È ancora ignota ai più la “manina” che ha scritto la (discussa) misura del ddl Bilancio che riduce dal 66,65 al 66% il margine dell’industria sul farmaco e incrementa della stessa quota (dal 3 al 3,65%) la spettanza dei grossisti. Il provvedimento, all’articolo 57, era spuntato all’improvviso nella bozza licenziata un paio di settimane fa dal Consiglio dei ministri e ora all’esame delle Camere, cogliendo di sorpresa sia coloro che della misura beneficeranno (i distributori del farmaco) sia quelli che invece ci rimetteranno, i produttori. «A decorrere dal 2025» recita in dettaglio il testo al comma 1 «le quote di spettanza sul prezzo di vendita al pubblico delle specialità medicinali di classe A sono fissate per le aziende farmaceutiche e per i grossisti, rispettivamente, nella percentuale del 66% per cento e del 3,65%». La maggiorazione spettante ai grossisti, continua il ddl al comma 2, «è da intendersi quale quota non contendibile e non cedibile a titolo di sconto ad alcun soggetto appartenente alla filiera del farmaco». Non solo: al comma 3, il disegno di legge istituisce anche a favore delle aziende della distribuzione «una quota pari a euro 0,05 per ogni confezione di farmaco di classe A distribuita a favore delle farmacie territoriali, nel limite di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2026 e 2027», al fine di «garantire la sostenibilità economica e l’operatività dei soggetti che svolgono le attività di cui all’articolo 1, comma 1, lettera r), del decreto legislativo 219/2006», cioè distributori, importatori e depositari.

Salta subito evidente l’impronta “genetica” che differenzia i provvedimenti impartiti dai due commi: il contributo a confezione di 0,05 euro (che di fatto introduce una timida remunerazione mista anche per i distributori) è a carico del Ssn e scatterà soltanto dal 2026; la misura dello 0,65%, invece, rappresenta un aiuto ai grossisti a spese dell’industria, entrerà in vigore già dal nuovo anno e (al contrario del precedente) non ha scadenza. Quanto alle risorse generate, le prime stime ufficiose parlano di un piatto attorno ai 60-70 milioni di euro all’anno.

Chiaro allora perché la Manovra abbia suscitato tra i produttori una reazione furiosa: in un comunicato congiunto diffuso poche ore dopo la divulgazione del ddl, Farmindustria ed Egualia hanno definito l’intervento una «criticità» da correggere in sede di esame parlamentare; in un’altra nota del giorno successivo, Egualia ha parlato apertamente di «profondo sconcerto». Infine, in un’intervista a Il Sole 24 Ore del 7 novembre, il presidente di Farmindustria Marcello Cattani ha ribadito tutto il risentimento delle aziende del farmaco per la misura: «A parole siamo un settore strategico per il Governo» ha rimarcato «ma poi nei fatti non è così».

Ovviamente, l’ira con cui l’industria ha accolto la disposizione sullo 0,65% sta creando qualche imbarazzo tra i distributori e le loro sigle di rappresentanza: non solo Adf e Federfarma Servizi si sono ben guardate dal commentare il testo (anche per scaramanzia: finché le Camere non approveranno niente è sicuro) ma hanno anche fatto capire in via informale che delle due misure solo quella al comma 2 (il fee di 0,05 euro a confezione) è farina del loro sacco. A quanto risulta, in effetti, nei loro incontri più recenti con rappresentanti del Governo le associazioni dei distributori si sono preoccupate di dettagliare lo stato di emergenza in cui versano le loro aziende (le prime dieci del comparto, è stato detto tra le altre cose, mettono assieme un risultato netto d’esercizio che nel 2023 non ha superato lo 0,01%) per rinnovare la richiesta che le due sigle avevano già avanzato un anno fa, ossia il riconoscimento di sgravi fiscali o agevolazioni per un valore attorno ai 50 milioni di euro. Alla risposta del Governo che la strada non era calcabile è allora scattata la proposta B, quella appunto dello o,05 euro a confezione (che assicurerebbe esattamente lo stesso volume di risorse).

Quel fee a pezzo i grossisti l’avrebbero voluto già dal nuovo anno, ma lato Governo è stato risposto che per il 2025 mancano le risorse per coprire la misura. E allora, ecco la misteriosa “manina” che ha pescato dal cilindro la disposizione dello 0,65%: se i soldi non ci sono, si vanno a prendere dall’industria. Come s’è detto, però, l’intervento ha avuto per effetto collaterale mandare fuori dai gangheri i produttori. Che, va ricordato, avevano ben altre attese per questa Legge di Bilancio: la loro richiesta numero uno, in particolare, puntava a un innalzamento del tetto sulla spesa farmaceutica (per acquisti diretti) e alla revisione del payback, incluso quell’1,83% sulla convenzionata che le industrie versano con una partita di giro in cui sono coinvolte anche le farmacie. Non soltanto non hanno portato a casa nulla, ma si sono anche ritrovate nel piatto l’amara sorpresa.

A giudicare da certe mezze frasi che si sentono in giro, in Farmindustria ed Egualia si saprebbe con sufficiente certezza chi ha partorito la norma sui margini. E già sarebbero cominciati i ragionamenti su come restituire il “favore”. I produttori, in particolare, non fanno mistero di voler sfruttare il passaggio del ddl Bilancio alle Camere per riscrivere completamente la norma. Lo ha detto a chiare lettere il presidente Cattani nella già citata intervista a Il Sole 24 Ore: «Il nostro auspicio è che la Manovra cambi in Parlamento, c’è il tempo per farlo e noi siamo sempre pronti al dialogo».

Non è difficile immaginare la linea con cui l’industria cercherà di portare dalla sua parte Governo e maggioranza: se i distributori sono oggi sull’orlo del baratro, ha già cominciato a dire in via informale, è perché “regalano” in modo scriteriato alle farmacie tutto il loro margine; passi quindi un aiuto al settore che rappresenta comunque un ingranaggio cruciale della filiera, ma un semplice spostamento di spettanze non risolverebbe niente perché in un modo o nell’altro anche questo “di più” potrebbe finire nelle tasche dei farmacisti. Senza contare, ricorda ancora l’industria, che con questo taglio la produzione di diversi farmaci off patent diventerebbe insostenibile e si allungherebbe la lista delle molecole carenti. Piuttosto, sarebbe molto più efficace prevedere meccanismi che ricalchino quanto già in vigore sugli equivalenti, dove la contrattazione commerciale tra distribuzione intermedia e finale è severamente limitata alle quote di spettanza.

In tal senso, potrebbe fare scuola quanto accaduto di recente in Germania, altro Paese dove i distributori non se la stanno passando benissimo e i loro margini non sono molto distanti da quelli delle aziende italiane: anche da quelle parti la concorrenza tra grossisti è serrata e si gioca principalmente su sconti e agevolazioni (alle farmacie), senonché all’inizio dell’anno una sentenza del Tribunale superiore del Brandeburgo ha dichiarato illegittimi gli sconti commerciali che oltrepassano il margine variabile del 3,15% spettante per legge al distributore. All’origine dell’intervento un contenzioso aperto dal Wettbewerbszentrale, l’Ufficio centrale per la lotta alla concorrenza sleale, contro l’importatore parallelo Haemato, che alle farmacie da cui arrivavano acquisti diretti per farmaci con obbligo di ricetta concedeva uno sconto del 3,04% più un secondo sconto del 3% in caso di saldo delle fatture entro 14 giorni (anziché i canonici trenta). I margini spettanti alla filiera sui farmaci con ricetta, hanno detto i giudici, sono definiti per legge, pertanto il distributore intermedio può concedere alle farmacie sconti che non devono superare la sua quota variabile (il 3,15% sul prezzo ex-factory), quindi senza possibilità di intaccare la sua quota fissa (70 centesimi a confezione, una bella differenza rispetto ai 0,05 euro del ddl Bilancio).

Una proposta di questo genere, è una delle valutazioni che circolano tra gli osservatori, avrebbe senz’altro il pregio di rispedire la questione nel campo in cui si nasconde la misteriosa “manina”. Non resta che vedere cosa accadrà nell’iter parlamentare.

 

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