Confcommercio: la prossimità torna di moda ma si vince se si innova

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Si fa presto a dire e-commerce. Ma poi, quando deve comprare, oltre la metà degli italiani fa la spesa sotto casa. E’ quanto rivela la ricerca di Confcommercio sulle nuove tendenze di acquisto nel comparto del commercio alimentare. Tendenze che meritano di essere analizzate anche dalla farmacia, perché il consumatore è sempre lo stesso anche se a muovere sono bisogni differenti. La prima evidenza, allora, è che la prossimità torna di moda: più del 56% degli italiani, dice l’indagine, frequenta abitualmente il supermercato di quartiere, mentre i grandi super e iper si fermano poco sotto il 51% (gli intervistati potevano esprimere più risposte); più di un consumatore su tre, poi, mette nell’elenco anche il negozio indipendente (specializzato o non, vedi tabella sotto), mentre discount e mercato rionale si assestano poco sopra il 30%.

 

 

Ma l’evidenza forse più interessante riguarda l’indice complessivo di soddisfazione, che tocca i valori massimi tra coloro che frequentano il negozio specializzato. Le valutazioni migliori, in particolare, riguardano la cortesia del personale (elemento fortemente apprezzato anche nei supermercati di quartiere), la qualità dei prodotti e la preparazione degli addetti sugli articoli in vendita, ma è significativo che in tutte le diverse tipologie di esercizio di prossimità i punti di forza siano l’accessibilità e la disponibilità del personale (vedi tabella sotto).

 

 

Altra evidenza che emerge dalla ricerca, il modello dell’ipermercato continua a mostrare crescenti segnali di stanchezza e disaffezione: nel quinquennio 2013-2017 la superficie di vendita complessiva cumulata dalle insegne della gdo è cresciuta di appena lo 0,1% rispetto al lustro precedente, nel 2008-2012 era aumentata del 2,7% e nel quinquennio prima del 4,6%. In netta contrazione anche la produttività degli “iper” (intesa come vendite al mq), che dai 7.600 euro del 2007 è scesa ai 6mila del 2016 per una perdita di circa il 22%.

 

 

Attenzione però: per quanto incoraggiante, l’indagine di Confcommercio lancia anche avvertimenti che – con i dovuti distinguo – meritano di essere valutati anche dalla farmacia. Per cominciare, il sempre spigoloso capitolo dell’online: nell’alimentare l’e-commerce è giusto agli esordi, 0,5% contro il 6% della Francia, ma i numeri sono in netta crescita; nel 2015, per esempio, la spesa del supermercato fatta online ha segnato un boom del 57%; il cibo pronto in delivery (direttamente dal ristorante, con vettori tipo Foodora e simili) ha registrato nel 2016 una crescita del 66%. Si impone, in sostanza, una riflessione: è in atto un cambiamento delle abitudini di spesa degli italiani, che sempre più spesso si fanno recapitare a casa o in ufficio i pasti pronti. «Molto è cambiato, nel panorama del retail in questi 5 anni» commenta Donatella Prampolini, presidente di Fida (Federazione italiana dettaglianti dell’alimentazione) «si stanno delineando e rafforzando trend demografici, sociali, economici e tecnologici che modificano profondamente le abitudini di acquisto e di consumo».

L’esercizio di vicinato dunque, continui a fare leva sulla prossimità e sull’empatia dei suoi addetti per fidelizzare e accrescere la customer satisfaction, ma apra anche le porte all’innovazione per tenere dietro ai cambiamenti del consumatore. La specializzazione spinta, dicono i dati, è una delle chiavi di volta: nel periodo 2012-2015 il numero delle imprese al dettaglio generiche è calato del 9,9%, le specializzate soltanto dell’1,5% grazie al boom dei negozi bio, vegan e gluten free. Un altro fattore di spinta è l’ibridazione di modelli tipici del format digitale, da cui la nuova dimensione del “phygital”: come riferisce Confcommercio, sono sempre di più i supermercati di quartiere e i negozi specializzati che innovano aprendosi all’online oppure proponendo servizi come il recapito a domicilio della spesa o il click&collect. «In questo nuovo scenario competitivo»osserva ancora «è necessario portare il business un passo avanti in termini di managerialità della gestione». Ai farmacisti titolari il compito di valutare se l’indicazione abbia utilità anche per il mondo della farmacia.

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