Confcommercio: in dieci anni spariti 100mila negozi, stravolti i centri storici. Quanto pesa l’online
I centri cittadini del Belpaese si stanno progressivamente trasformando da zone residenziali a poli di svago e turismo, con un crescente calo delle attività commerciali rivolte alla popolazione residente e lo sviluppo dei servizi rivolti ai non residenti, in particolare i turisti. È la fotografia scattata dal Rapporto sulla demografia d’impresa nelle città italiane di Confcommercio, condotto in collaborazione con il Centro studi delle Camere di commercio. Lo studio, di cui dovranno tenere conto le farmacie urbane per gli effetti su flussi e consumi, analizza l’evoluzione numerica delle attività commerciali nell’arco
di dieci anni (dal 2012 al 2022) in tutto il Paese e in 120 città di dimensioni medio-grandi.
Demografia d’impresa, i trend 2012/2022 e 2019/2022
I dati riferiscono di due tendenze contrastanti tra loro: le attività commerciali in sede fissa calano tra il 2012 e il 2022 del 18% circa, tanto nell’insieme del Paese (-99.031 negozi) quanto nel campione di 120 centri cittadini selezionato da Confcommercio (-24.748), tra i quali 110 capoluoghi di provincia (esclusi Milano, Napoli e Roma); le imprese alberghiere e della ristorazione, invece, crescono nello stesso periodo del 3,2% a livello Italia e del 6,6% nelle città analizzate. «La doppia crisi pandemica ed energetica sembra avere enfatizzato la contrazione della densità commerciale che già si osservava in precedenza» osserva Confcommercio «dal canto suo la crescita delle attività di alloggio e ristorazione non compensa i cali osservati nel retail, ma modifica in misura rilevante le caratteristiche dell’offerta nelle città e nell’economia in generale».
Demografia d’impresa, i trend nei centri storici delle città
I due fenomeni in controtendenza tra loro mostrano numeri ancora più netti se si restringe l’osservazione ai centri storici delle città. In dieci anni, dice il Rapporto, le attività commerciali in sede fissa sono calate del 19,4%, i servizi di alloggio (alberghi, B&B, affittacamere) sono cresciuti del 43,3%, bar e ristoranti del 4%. Con quale differenza a livello geografico: nei centri storici del centronord Italia il commercio al dettaglio in sede fissa perde in dieci anni il 20,5% delle attività, al Sud il 17,6%; i servizi di alloggio crescono al Centronord del 32,3%, al Sud addirittura dell’82,9%.
Che a guidare la crescita delle strutture ricettive sia sopratuttto il fenomeno di B&B e affittacamere diventa evidente osservando i dati relativi al triennio 2019-2022: nei centri storici le attività alberghiere calano dell’1,4%, le altre forme di alloggio crescono invece del 4,3% (al Sud addirittura del 13%). «I cambiamenti nelle preferenze e nelle abitudini di acquisto e consumo, le scelte commerciali e localizzative della grande distribuzione e delle superfici specializzate, lo sviluppo del commercio online e altri fattori stanno cambiando volto all’offerta commerciale delle città, soprattutto nei centri storici» è la valutazione di Confcommercio «la riduzione netta dell’offerta confina con il rischio di desertificazione commerciale e con la riduzione effettiva dei livelli di servizio».
I trend demografici nei centri storici per attività 2012-2022
L’andamento delle chiusure nei centri storici, peraltro, non interessa con la stessa intensità tutti i settori del retail: calano in maniera vistosa alimentari, arredamenti e ferramenta, libri e giocattoli e abbigliamento/calzature, crescono i negozi di computer e le farmacie/parafarmacie (anche se il dato relativo a questi ultimi due canali, proveniente dalle Camere di commercio, va preso con una certa cautela). In ogni caso, osserva Confcommercio, lo scenario che emerge «pone almeno la questione della sostenibilità di lungo termine di una città-svago fornita di decrescenti livelli di servizio alla cittadinanza a favore dei non residenti, cioè prevalentemente dei turisti». E, aggiungiamo noi, obbliga le farmacie a interrogarsi sul tipo di offerta da strutturare per una clientela costituita sempre meno da residenti e sempre più da turisti.
Desertificazione commerciale e possibili cause correlate
Infine, lo studio ha provato a indagare le cause che alimentano la desertificazione delle attività commerciali. A tale fine, spiega Confcommercio, è stato utilizzato «un semplice esercizio econometrico di regressione lineare tra la densità commerciale in sede fissa nelle 120 città considerate tra 2012 e 2022 e alcune variabili dal potere potenzialmente esplicativo del fenomeno indagato». In particolare, le osservazioni suggeriscono che il calo della densità commerciale potrebbe essere collegato a tre principali fattori.
1. La crescita del commercio online, misurata dalla propensione territoriale a effettuare acquisti attraverso internet: in Italia, osserva Confcommercio, tale propensione è cresciuta mediamente del 103,2% nel decennio considerato; al riguardo va considerato che i negozi di prossimità possono anche beneficiare dei vantaggi dell’online, tuttavia la riduzione della domanda rivolta ai piccoli negozi perché soddisfatta dalle piattaforme online multinazionali supera gli incrementi di domanda dovuti all’utilizzo del canale di vendita online da parte dei negozi fisici, almeno in aggregato. «Una crescita della propensione all’acquisto online del 10%, per esempio dal 30 al 33%» scrive Concommercio «riduce la densità commerciale del 3%». La suggestione conseguente «è che anche il dettaglio di prossimità deve rafforzare la propria distribuzione complementare online; se il dettaglio ha perso imprese (dalla pandemia a oggi -4% in sede fissa, -9,8% ambulanti), commercio online, ingrosso, magazzinaggio e spedizione hanno mostrato crescite rilevanti (+10,2%)».
2. La variazione della densità di ipermercati e grandi superfici specializzate, che attraggono acquisti della popolazione residente nelle città (impatto negativo): tale densità, osserva il Rapporto, è cresciuta nei dieci anni di osservazione dell’84,4%. Se la densità della gdo sale del 10%, dice l’analisi di Confcommercio, la densità commerciale scende dello 0,2%; per evitare il rischio della desertificazione, è la ricetta che arriva dal Rapporto, «non c’è altra strada per il commercio di puntare su efficienza e produttività (del lavoro, per metro quadrato eccetera), anche con l’innovazione e la ridefinizione dell’offerta. Resta fondamentale l’omnicanalità, cioè l’effettiva presenza di un canale online ben funzionante».
3. L’evoluzione delle condizioni economiche e dei consumi reali. Se i consumi pro capite crescono nel bacino di utenza considerato del 10%, dice l’analisi, la densità commerciale aumenta dello 0,8%. Più che sul numero delle attività, tuttavia, l’andamento dei consumi influisce sulla ricerca di efficienza, che significa principalmente produttività del lavoro.
«Le politiche pubbliche» è la conclusione cui giunge il Rapporto di Confcommercio «dovrebbero prendere (finalmente) sul serio il concetto di esternalità positiva del commercio di prossimità, nel senso che esso produce un servizio (vivibilità) che non è incorporato nei prezzi di mercato». I farmacisti titolari condivideranno senz’altro.