Ritenta la strada delle Camere, inserito contemporaneamente in due diversi percorsi legislativi, l’emendamento che interviene sul sistema delle incompatibilità della legge 362/1991. La proposta non riguarda l’apertura di “catene” né introduce nuove possibilità di ingresso nel settore farmaceutico, già disciplinate dalle liberalizzazioni del 2017, ma si limita a chiarire il trattamento delle partecipazioni, dirette e indirette, e la posizione degli investitori istituzionali soggetti a vigilanza pubblica, oggi non espressamente considerati nella formulazione vigente dell’articolo 7. Dopo non essere stato ricompreso nel ddl Concorrenza approvato dal Senato nella sua versione base, l’emendamento riappare ora sia nella Manovra 2026, all’esame del Senato, sia nel ddl di conversione del decreto-legge 156/2025 (Misure urgenti in materia economica), in discussione alla Camera.
Nella Manovra 2026 è stato presentato lo stesso emendamento da diverse forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione. Nello specifico, l’intervento sulle incompatibilità risulta presentato da 68.14 Murelli (Lega), 68.16 Manca (Pd), 68.15 Fregolent (Italia Viva) e 68.13 Durnwalder (Autonomie). Tutte le proposte ripetono nella sostanza le disposizioni che avrebbero dovuto entrare nel ddl Concorrenza: al comma 2 dell’articolo 7, viene chiarito una volta per tutte che chi detiene quote in una società titolare di farmacie non può svolgere «altra attività nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché con l’esercizio della professione medica», che la partecipazione sia diretta o indiretta (una specificazione assente nell’attuale formulazione dell’articolo); in coda, viene aggiunto un comma 2bis che esclude dalle incompatibilità precedenti «gli investitori istituzionali indicati alle lettere da a) ad h) del comma 3 dell’articolo 32 del decreto legge 78/2010», ossia i fondi partecipati da Stato, enti pubblici, organismi d’investimento collettivo del risparmio, istituti di previdenza complementare, enti di previdenza obbligatoria, assicurazioni e intermediari bancari o finanziari; all’articolo 8, inoltre, viene cancellata la lettera b del comma 1, che oggi vieta a titolari, gestori provvisori, direttori e collaboratori di farmacia di partecipare a una società di capitale cui fanno capo altre farmacie.
Confermate anche le condizioni che comunque dovranno rispettare i fondi di cui sopra nel caso in cui integrino la partecipazione in catene di farmacia e in attività del comparto farmaceutico o sanitario: vietata la presenza negli organi amministrativi di soggetti che rivestono incarichi nelle attività potenzialmente incompatibili, indispensabile l’adozione di protocolli interni per la separazione dei percorsi decisionali, obbligatorio il ricorso a modello organizzativi che prevengano eventuali comparaggi e via a seguire.
Non mancano le novità, sotto forma di un comma aggiuntivo che impone alle catene di farmacia con ricavi superiori ai sette milioni di euro di «prevedere, nell’ambito delle proprie politiche di responsabilità sociale d’impresa, la destinazione annuale di una quota fino allo 0,20% del proprio utile netto a progetti di pubblica utilità e di sostegno sociosanitario a favore di anziani, disabili o persone fragili nei comuni con popolazione inferiore a millecinquecento abitanti, da realizzarsi in collaborazione con le farmacie nei medesimi comuni o limitrofi».
Stessa identica formulazione, ma senza il comma sulla responsabilità sociale d’impresa, per i quattro emendamenti sulle incompatibilità che figurano tra le proposte di modifica al ddl Misure urgenti in materia economica: 3.07 Bonetti (Azione) 3.09 Morrone (Lega), 3.010 Marattin (Misto) e 3.011 Del Barba (Italia Viva).

