Per vedere i “pezzi grossi” – alfieri, torri, re e regine (soprattutto le regine…) – bisognerà aspettare ancora qualche tempo. I pedoni, invece, si stanno già muovendo, come usano fare i giocatori più accorti. Ha le fattezze di una partita a scacchi la “calata” del capitale nella farmacia italiana, liberalizzata nella titolarità dalla conversione in legge del ddl concorrenza il 2 agosto scorso. Chi si aspettava una corsa agli acquisti fin dal primo minuto da parte delle grandi catene è rimasto per ora deluso. Anche se questo non vuol dire che non stia accadendo nulla: a tendere l’orecchio di segnali ne arrivano, tanto che qualcuno già prevede per l’Italia una liberalizzazione in stile “svedese”.
Ricordiamola: nel Paese scandinavo la proprietà delle farmacie (fino a quel momento soltanto statale) venne liberalizzata nel 2009. Il Governo mantenne il controllo diretto di circa 330 esercizi, mentre gli altri 615 vennero venduti in tre tranche ai privati, ai quali fu anche consentita l’apertura di nuovi punti vendita. Le catene si svilupparono quasi immediatamente e, udite udite, i più lesti a comprare furono i fondi di investimento, non le multinazionali della distribuzione: una delle insegne svedesi oggi più famosa, Apotek Hjärtat (Farmacia del cuore), venne creata dal private equity fund Altor, che si assicurò la proprietà di oltre 200 delle farmacie messe in vendita dallo Stato; stesso discorso per Medstop (60 farmacie, primo proprietario il fondo scandinavo Segulah IV, specializzato in investimenti nel comparto medico-sanitario) e Vårdapoteket, creata da Priveq Investment e Investor Growth Capital con l’acquisto di 24 farmacie “outpatient”, ossia ubicate negli ospedali ma destinate a dispensare farmaci ai non ricoverati.
Se in Svezia i fondi sono arrivati prima non è per ragioni locali. Il fatto è che questo categoria di investitori può mettere velocemente sul tavolo liquidità che altri competitor fanno fatica a raccogliere, perché il loro core business è proprio quello di acquisire, ristrutturare e poi rivendere con buoni profitti. A chi? Ma a quei gruppi – della distribuzione intermedia, per esempio – che non hanno i capitali per costruire una catena un mattoncino alla voltama hanno le competenze per gestirla sul lungo periodo. Anche in questo caso la Svezia docet: quelli di Altor hanno ingrandito Apotek Hjärtat inglobando prima Apotek1 (un’altra piccola catena nata dalla liberalizzazione del 2009) e poi Vårdapoteket, quindi nel 2014 hanno venduto al gruppo svedese Ica, che opera nella distribuzione all’ingrosso. Medstop, invece, è stata venduta nel 2013 al grossista farmaceutico finlandese Oriola (che nel suo Paese dispone anche di un circuito di farmacie di proprietà).
E in Italia? Come detto, per ora a muoversi sono soltanto i pedoni, ossia broker, intermediatori e procacciatori (absit iniuria verbis). Che stiano girando lo ha ufficializzato pochi giorni fa la stessa Federfarma, il sindacato dei titolari di farmacia privata, con una circolare nella quale avvisa i suoi associati di non cedere frettolosamente a interlocutori dai mandanti sconosciuti. Se si va a chiedere agli addetti ai lavori, però, qualche idea in più sui mandanti si raccoglie. E si scopre, così, che oggi chi sta andando o mandando in giro a cercare farmacie da acquisire sono soprattutto i fondi d’investimento, che hanno intuito il business e dispongono dei capitali necessari per mettere su una catena.
O meglio: sono i fondi o sono intermediari che puntano a mettere assieme un pacchetto di farmacie e andare poi a offrirle “chiavi in mano” ai fondi stessi. Ed è qui che l’Italia sembra distanziarsi dal precedente scandinavo: in Svezia le farmacie vennero messe all’asta, quindi per il capitale finanziario fu facile acquistare “all’ingrosso”. Da noi invece non c’è nessuna svendita di fine stagione, dunque bisognerebbe comprare un punto vendita dopo l’altro, scegliendo con cura. Un impegno che quasi nessun fondo è in grado di sostenere, perché non conosce il mercato e non sa come muoversi. Ed ecco allora che qualcuno preferisce affidarsi a un intermediario perché faccia acp (acquisizione per conto…), quando invece non sono gli intermediari stessi a raggranellare farmacie con l’obiettivo di metterle poi sul piatto di qualche fondo, come si fa con gli alberghi al Monopoli.
I titolari di farmacia facciano i loro conti. E chi aspetta re e regine, dovrà probabilmente armarsi di pazienza.