Skin ADV

Catene, fondi in fibrillazione dopo i casi Valuefarma e Neo Apotek: vale ancora investire nel canale?

Filiera

«Too big to fail», troppo grande per fallire. È il termine con cui, nel mondo della finanza, si definiscono i grandi gruppi o le banche d’investimento che, per dimensioni e valore internazionale, non possono chiudere perché le ricadute andrebbero oltre l’immaginabile. Con qualche variazione nelle parole, a cominciare ovviamente dalla grandezza, è più o meno quello che finora pensavano fondi di private equity e istituti finanziari del Monopoli italiano delle farmacie: un investimento sicuro, perché si tratta di un comparto del retail regolamentato e protetto. Insomma, un affare pressoché “fail-safe”, a prova di errore, anzi “too safe to fail”, troppo sicuro per sbagliare. Ora però il brusco risveglio: tra settembre e novembre sono uscite dal Monopoli prima Valuefarma, catena controllata dal fondo inglese Blixt, un anno di vita e appena sette farmacie di proprietà, e poi Neo Apotek, colosso da 130 filiali che aveva iniziato a comprare dal 2019.

Per questo motivo le due cessioni (entrambe a Dr.Max) hanno avuto lo stesso effetto di una piccola scossa tellurica, tanto per i fondi che da fuori stanno valutando se buttarsi nel business quanto per quelli che già sono dentro. Tanto che molti si stanno chiedendo se la scelta sia stata poi così saggia come si pensava. «È vero» ammette Alessandro Orano, ceo di di Skills Management e Farcom «le due uscite hanno creato un po’ di scompiglio. Il fatto è che a questi fondi è stata fatta una narrazione spesso diversa dalla realtà: prima è stato detto loro di comprare perché l’affare è sicuro e si ripaga da sé, con i fatturati delle farmacie acquisite; poi, quando osservavano che dopo l’acquisizione le farmacie non facevano più i fatturati di prima, è stato detto che sarebbe bastato attendere un paio di anni e i ricavi sarebbero tornati quelli di prima. Ora, con il costo del denaro che è schizzato verso l’alto, è venuto fuori il “peccato originale” di alcune di queste catene: hanno comprato a valori troppo alti nella convinzione che poi avrebbero recuperato, ma così non è andata».

In effetti, suscita sensazioni da Antologia di Spoon River la rilettura, con il senno di poi, del Business Plan con cui Blixt, nel maggio 2021, forniva agli investitori i punti chiave del suo progetto finanziario: 90 farmacie di proprietà entro il giugno 2023 e 180 entro l’estate 2026, per ricavi stimati di 233 milioni e un’ebitda del 18% nell’ultimo anno. Le acquisizioni, era in particolare la stima, verranno concluse a un prezzo medio pari a 1,4 volte il rapporto tra ricavi e valore dell’impresa (fatturato meno indebitamento netto), con capitali raccolti a debito nelle banche locali a un tasso di interesse del 3%.

Il costo raggiunto dall’euro in poco più di un anno ha mandato a gambe all’aria valutazioni come quelle di Blixt, ma per Orano investire nelle farmacie è ancora un affare solido; basta evitare gli errori che in alcuni casi sono stati commessi. «Chi ha comprato a tutti i costi, senza badare troppo ai fondamentali effettivi delle farmacie che trattava» osserva «si è poi ritrovato in pancia proprietà che anziché fornire ricavi drenavano risorse, anche a causa della crisi determinata dalla guerra in Ucraina. E questo rimanda al secondo “peccato”, l’inesperienza: si sono buttati sul mercato delle farmacie fondi e capitali che questo comparto non lo conoscevano neanche da lontano e che al volante dei loro veicoli di investimento hanno messo talvolta manager estranei a questo mondo. Il fatto è che tutti hanno visto la veloce partenza di Hippocrates Holding e hanno pensato che fosse molto facile replicarla, convinti che per creare valore bastasse aggregare farmacie, magari anche geograficamente lontane e dal potenziale limitato. Invece non è così».

Hippocrates, in effetti, è citata a chiare lettere nel Business Plan di Blixt con i toni di una case history da cui trarre ispirazione. «C’è chi ha creduto che per tirare su una catena di farmacie bastasse comprare e integrare, con la sicurezza che quando avresti venduto l’investimento avrebbe reso» osservano Rodolfo Guarino e Davide Tavaniello, ceo di Hippocrates «la realtà è ben diversa e, tanto per dirne una, scegliere le farmacie da comprare è un lavoro faticoso e difficile, in molti si sono arenati già in questa fase. Poi c’è il “dopo”: noi, oltre ad acquisire, abbiamo sottoposto a ristrutturazione completa 35 delle nostre filiali; abbiamo brandizzato il 100% delle farmacie; abbiamo investito sul personale con l’assunzione – tra gli altri – di 25 area manager; abbiamo speso 12 milioni di euro per la realizzazione del Cedi di Livraga, in provincia di Lodi, che per dimensioni e dotazioni può rifornire sino a mille esercizi; abbiamo integrato nella catena una farmacia online. Sono investimenti che fanno la differenza, perché aggiungono al tuo progetto credibilità che è la moneta con cui ti rivolgi ai mercati finanziari».

Non va annoverato invece tra i fattori che scoraggiano investitori e capitali lo “scollinamento” che imboccano regolarmente i fatturati delle farmacie quando dal farmacista titolare passano in gestione a una catena. «Questo è un falso argomento» obiettano Guarino e Tavaniello «è normale e accade in tutti i comparti del retail che quando un’impresa passa di mano si verifichi un temporaneo “rilassamento” dei ricavi, nel nostro caso attorno a un 3-4% medio. Poi entra in gioco l’integrazione nella catena e recuperi, di solito nel giro di 18-24 mesi. Ma solo se sei bravo e sai fare il tuo mestiere, perché le cose non accadono da sole e devi lavorare per portare risultati».

Attenzione, per esempio, a non attribuire valore taumaturgico alle famose economie di scala. «Per una catena sono un fattore importante di ottimizzazione dei costi» ricordano i due ceo «ma non puoi certo pensare di averle quando di farmacie ne hai soltanto dieci. Idem per la diversificazione, regionale e tipologica: se le tue farmacie sono distribuite su più regioni e sono differenti per dimensioni, composizione del fatturato e clientela di riferimento, sai che in caso di incertezze o cali di alcuni mercati riesci a compensare con le altre. Se hai farmacie concentrate principalmente in una regione o della stessa tipologia, i tuoi ricavi hanno molta meno flessibilità».

«Non bastano le economie di scala a sostenere un progetto retail» è il parere di Massimo Mercati, amministratore delegato di Apoteca Natura (che con Neo Apotek aveva concluso nel 2021 una partnership in cui ora subentrerà Dr.Max) «la farmacia non è soltanto sell in ma anche sell out e gestione del personale, se alla base non c’è un progetto industriale ben calibrato difficile che si riesca ad andare lontano». Anche per Mercati, in ogni caso, la farmacia è un mercato in cui vale la pena investire. «Noi andiamo avanti proprio perché siamo convinti che c’è valore» conferma «e nei prossimi due anni investiremo sul brand Apoteca natura perché riteniamo che sia importante la riconoscibilità del marchio da parte del pubblico».

Invece per Francesco Carantani, co-ceo di Farmagorà, ogni ragionamento sulla qualità dei progetti con i quali il capital è entrato nel canale farmacia non va disgiunto dall’imponderabilità delle ultime crisi. «Rincari degli eurotassi e carenza del personale, da cui un imprevedibile aumento del costo del lavoro hanno scompaginato molte stime» osserva «ma il canale mantiene intatto il suo interesse per chi vuole investire con una logica di lungo periodo. Certo, i prezzi di acquisto delle farmacie hanno fluttuato nel tempo, anche se ora sembrano tendere al raffreddamento. La nostra linea è quella di proseguire con il passo che ci siamo dati sin dall’inizio, senza strappi: una o due acquisizioni al mese, rapida integrazione nella rete, sviluppo del modello della farmacia di relazione».

Intanto, a dimostrazione del fatto che la proprietà delle farmacie fa ancora gola, proseguono acquisizioni e integrazioni: Hippocrates conta attualmente 385 farmacie rogitate, Boots è a 80 e prevede a brevissimo l’ingresso di cinque nuovi esercizi, Alma Farmacie – che ha in corso un aumento di capitale – è a quota 40, nove delle quali prossime al rogito, Farmagorà me annovera 32. Di certo il Monopoi non si è fermato.

 

 

Altri articoli sullo stesso tema