Qual è lo stato di salute delle principali catene di farmacia che traspare dai loro bilanci d’esercizio, pubblici e dunque consultabili? È la domanda che Pharmacy Scanner ha girato a Paolo Lugli, chief financial officer in diverse aziende italiane ed ex ad di Boots Italia. L’obiettivo era quello di mettere a confronto ricavi e utili delle maggiori insegne del capitale per valutare come hanno superato il 2022, l’anno in cui ha cominciato a farsi sentire la doppia morsa dell’inflazione da un lato e, dall’altro, dell’aumento del costo del denaro, come già era stato fatto qualche settimana fa per i distributori. Stavolta, però, l’analisi ha dovuto prendere una piega diversa rispetto alla precedente, a causa delle caratteristiche particolari delle società osservate.
«Il fatto» spiega Lugli «è che le catene di farmacia che fanno capo a società del capitale sono solitamente organizzate in strutture complesse, in cui a una holding finanziaria si affiancano numerosi veicoli societari (a ognuno dei quali corrisponde una o più farmacie) e quindi un’eventuale “coda” di altre società, che forniscono servizi alle filiali del gruppo. Diventa così difficile valutare l’andamento gestionale di una catena del capitale dal bilancio d’esercizio, per la mancanza di pubblicità (o la difficile reperibilità) dei bilanci consolidati, che invece servirebbero proprio ad avere una visione complessiva di tutte le società collegate. Ogni confronto, in aggiunta, viene reso ancora più aleatorio dall’utilizzo di criteri di redazione dei bilanci diversi tra loro, mentre all’interno dello stesso gruppo raffronti tra un anno e l’altro vengono vanificati dall’evoluzione quasi continua del perimetro di rete, ossia delle farmacie acquisite. «Complica ulteriormente ogni analisi» continua l’esperto «il fatto che spesso gli elementi e le poste più utili sono descritti in maniera volutamente generica, per non rendere pubbliche informazioni ritenute confidenziali o peculiarità del business che non si vogliono condividere con la concorrenza».
Espressa questa avvertenza, dice Lugli, dai bilanci d’esercizio delle holding cui fanno capo le catene del capitale si possono comunque trarre alcune informazioni di qualche utilità per valutazioni e riflessioni. Alla voce Immobilizzazioni finanziarie delle holding, per esempio, è fornito il valore delle partecipazioni (ossia le farmacie) acquisite nel tempo, mentre nella nota integrativa possiamo trovare l’elenco delle farmacie partecipate dalla holding e, per ognuna di esse, il patrimonio netto e il risultato d’esercizio (nonché le quote dei soci).
Non sono informazioni sufficienti a sostenere conclusioni serie e complete, tuttavia qualche indicazione, anche per approssimazione, la forniscono. Per esempio, se la maggioranza delle farmacie controllate da un gruppo ha chiuso in perdita l’esercizio 2022 e in alcune di queste il patrimonio è depauperato al punto da imporne la ricostituzione già quest’anno, allora è legittimo ipotizzare che il risultato complessivo di questa catena non sia in linea con le aspettative iniziali.
Attenzione però, avverte Lugli, non bisogna generalizzare: l’analisi potrebbe essere sviata dall’impatto degli ammortamenti sull’avviamento, che spesso sono particolarmente elevati per ottimizzare l’impatto fiscale. D’altro canto, non si può pensare che questa pratica – assolutamente lecita – riguardi tutte le farmacie della catena. Altro elemento rintracciabile nei bilanci, in particolare nel verbale dell’assemblea dei soci, è il risultato del consolidato, che (purtroppo) si limita normalmente al patrimonio netto e al risultato d’esercizio del gruppo. Sono solo due cifre ma significative, anche se sarebbe molto più interessante disporre dell’ebitda (margine operativo lordo) del gruppo e così interpretare l’andamento gestionale..
Bilanci pubblici alla mano, Lugli comunque propone qualche caso concreto. Per il gruppo Hippocrates, per esempio, ogni valutazione deve concentrarsi sulla vera capogruppo, Dikaios Opco Tpco srl, che redige il consolidato e rivela nel 2022 un risultato in perdita per 3,3 milioni su un patrimonio di 661 milioni di euro. Sotto troviamo Hippocrates Holding spa: la perdita per il 2022 raggiunge i 35,3 milioni, ma come detto in precedenza questo risultato è poco significativo; in ogni caso, considerato che l’ammortamento sull’avviamento ammonta a 21,2 milioni, si potrebbe dire che al netto di tale cifra la holding perde 14 milioni circa.
Sempre dal bilancio si contano per l’anno passato 290 società controllate, ma la numerica delle farmacie potrebbe essere maggiore perché non si può escludere che alcuni di questi contenitori includano più esercizi: rispetto a questo totale, in ogni caso, le società in utile sono 91, ossia il 31% dell’insieme; del restante 69%, è la valutazione di Lugli, una metà circa mostra risultati che potrebbero consigliare una ricapitalizzazione entro uno o due anni, cioè nuova finanza da immettere nella farmacia. In ogni caso, si legge nel bilancio, «sulla base delle analisi fatte il management della società ritiene non sussistano elementi tali da dover procedere a eventuali svalutazioni».
Un altro caso analizzato da Lugli è quello di Farmagorà, una delle catene del capitale di più recente costituzione: nel bilancio figurano 21 farmacie controllate (ma alcune sono in realtà veicoli neocostituiti con il probabile obiettivo di includere a breve nuove filiali), tutte con risultato negativo. Il bilancio 2022 della capogruppo mostra una perdita di un milione di euro, ma in mancanza del consolidato non è possibile fare altre valutazioni. Va anche considerato che spesso le catene sono in normalmente in perdita nella fase di start-up del progetto per l’impatto dei costi della sede centrale.
Segue Farmacie Italiane srl, la catena controllata da F2i: possiede 40 società per un totale di 63 farmacie. Sedici, ossia il 40%, sono in perdita. Dal verbale dell’assemblea si deduce che il risultato consolidato del gruppo è gravato da una perdita d’esercizio di 34,2 milioni di euro su un fatturato di 234,8 milioni, ovvero il 15%. Ne discende un indebitamento finanziario di 120 milioni, nonostante il fatto che il fondo controllante ha approvato di recente un aumento di capitale di 55 milioni. Nel 2021 Farmacie Italiane aveva mostrato una perdita consolidata di 73,2 milioni, che includevano svalutazioni per 51,7 milioni. La perdita d’esercizio delle farmacie controllate è pari a 6,2 milioni, ma da sola la Farmacia Loreto Gallo, che è anche l’e-commerce del gruppo, contribuisce con un passivo di 8,1 milioni (più 4,8 milioni di patrimonio negativo).
Quali conclusioni da questi pochi casi? Per Lugli, ribadite le avvertenze iniziali, la prima evidenza che offrono i numeri riguarda la gestione: amministrare una catena di farmacie è un’impresa decisamente complessa e il risultato economico è tutt’altro che scontato, tant’è vero che tutte le società analizzate mostrano risultati d’esercizio in perdita.
Considerato che alla guida di tali società figurano manager ben ferrati in materia finanziaria, è legittimo ritenere che non ci siano ragioni per mettere in dubbio la solidità dei progetti che stanno portando avanti. Forse, in qualche caso è stata data priorità all’acquisizione di farmacie nella convinzione che poi sarebbe bastato spingere sul fatturato retail e sulle economie di scala, ma qua entriamo nel regno dell’opinabile.
Di certo – continua Lugli – non basta il “cherry picking” a mettere insieme una catena: occorrono un vero progetto industriale, una valutazione realistica del valore delle singole farmacie, l’integrazione di ognuna di queste nella catena preservandone le caratteristiche peculiari e in particolare il personale dipendente, il cui valore è decisamente più rilevante del format e della ribrandizzazione. La farmacia, è la conclusione dell’esperto, ha tutt’oggi un valore immenso anche in termini di investimento, forse non tutti i progetti che sinora hanno tentato di estrarre questo valore facevano leva sugli elementi giusti. Pharmacy Scanner, ovviamente, è disponibile a riportare – ai fini della completezza dell’informazione – eventuali precisazioni da parte delle catene qui analizzate.