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Bertozzi (TradeLab): farmacie ferme al lockdown, non presidiano più gli scaffali

Filiera

Se i primi mesi del 2021 vedono il canale farmacia ancora in difficoltà per ingressi e consumi, è perché la pandemia l’ha privato di buona parte della sua capacità di fare retail: scaffali e spazi espositivi non hanno più l’efficacia del pre-covid, i farmacisti rimangono dietro i loro schermi in plexiglass e non sono tornati a presidiare l’area di libera vendita come facevano prima, insomma sembra di essere tornati a vent’anni fa, quando gli accessi erano trainati in massima parte dalla ricetta del medico. E il percorso di acquisto dei clienti era una linea retta che andava dall’ingresso al banco del farmacista e ritorno. E’ la chiave di lettura che propone Paolo Bertozzi, partner e socio fondatore di TradeLab, per spiegare il momento di difficoltà che stanno vivendo le farmacie italiane. E che obbligano i loro titolari a ridisegnare urgentemente modelli e formule.

Bertozzi, partiamo dal consumatore: tutti sembrano concordi nel dire che, quando comprano, gli italiani hanno ancora i comportamenti appresi nel lockdown…
E’ vero: nonostante le riaperture del giugno scorso, molti clienti continuano a fare acquisti “frettolosi” e il tempo medio di permanenza nei negozi non è tornato a essere quello del pre-lockdown. Vale anche per la farmacia dove ancora a febbraio di quest’anno (periodo dell’ultima rilevazione del Tracking Consumatori di TradeLab) quasi il 60% degli intervistati ha dichiarato di «fare una visita molto veloce, per non trattenersi oltre il necessario». In farmacia, dunque, si continua a chiedere consiglio al farmacista se c’è bisogno, ma si tratta di consulti il più delle volte telegrafici: domanda, risposta e via. E il farmaco etico è tornato a guidare la maggior parte degli ingressi, com’era una ventina di anni fa

E i farmacisti?
Il punto è questo: si sono adattati alla realtà, hanno lavorato sulla sicurezza delle proprie farmacie, ma quando il lockdown è finito hanno mantenuto anche loro i comportamenti adottati nel periodo della prima emergenza. Sia chiaro, in questa pandemia i farmacisti stanno facendo un lavoro meraviglioso, ma di fatto stanno rinunciando a gestire il consumatore».

In che senso?
Il farmacista continua a servire i suoi clienti con la professionalità che da sempre lo contraddistingue, ma non sta più facendo il retailer. Ha perso la capacità di stimolare gli acquisti, ha lasciato poco presidiata l’area di libero servizio. Così anche lo spazio espositivo, già penalizzato dalle visite meno frequenti e più rapide dei consumatori, perde ulteriormente la sua efficacia.

Si spieghi meglio…
Secondo una nostra ricerca, quasi il 52% dei farmacisti dice di avere ridotto gli espositori da banco e il 55% quelli da terra per creare le necessarie aree di rispetto, ma spesso non hanno controbilanciato con soluzioni alternative di comunicazione e gestione dello scaffale. Emerge in generale una necessità di razionalizzazione della gestione che non coinvolge solo la relazione con i consumatori ma anche quella con i fornitori. Un’altra indagine, della quale Pharmacy Scanner ha scritto qualche settimana fa, rivela infatti che più della metà dei titolari intervistati dichiara di avere sfoltito o che sfoltirà gli assortimenti e recentemente abbiamo assistito a un inevitabile calo delle “prenotazioni”.

Che cosa significa tutto ciò?
E’ evidente che sono scelte cautelative determinate non solo dalle necessità di tutela della salute di clienti e collaboratori, ma anche da una visione assolutamente passiva e condizionata da una visione molto ristretta al periodo contingente. Ma così i farmacisti giocano solo “in difesa” mentre i consumatori sempre per necessità hanno iniziato a sperimentare l’online.

Cioè?
Razionalizzare l’assortimento non è sbagliato in assoluto, ma non può ridursi a un semplice “taglio lineare” dell’X percento. Bisogna adottare criteri razionali, basati sulla conoscenza del proprio bacino competitivo (domanda e concorrenza), e realizzare un modello di offerta (assortimento ed esposizione) che lavori sia sugli acquisti programmati dai consumatori (big brand ad alta rotazione), sia su quelli che possono essere decisi all’intero della farmacia grazie agli stimoli del personale e del punto vendita. Sempre tenendo alto il livello di servizio che è il vero punto di valore distintivo del canale. Questo significa “giocare in attacco”, ovvero strutturare un’offerta qualificante e posizionante e investire anche in un momento in cui la paura porterebbe a fare il contrario. Razionalizzare senza alle spalle un progetto di costruzione di valore significa banalizzare la farmacia e di fatto fare il gioco dell’online, che da sempre ha la sua leva nell’ampiezza dell’offerta e nel prezzo.

Che cosa dovrebbero fare, invece, i titolari?
Dovrebbero fare cultura sugli scaffali, dovrebbero ricominciare a gestire l’area di libera vendita e invece continuano a tenere il loro personale dietro ai plexiglass. Ma soprattutto, i farmacisti titolari devono rendersi conto che i vecchi modelli non funzionano più, servono nuove formule. Con la fine della prima emergenza, diversi canali del retail hanno cominciato a rivedere i loro paradigmi; la farmacia di oggi, invece, è rimasta uguale a quella del primo lockdown. Ma è un’immobilità controproducente: la farmacia deve riconquistare il cliente, deve restituire pieno risalto alla sua proposta di valore. E deve iniziare a farlo ora altrimenti non sarà pronta.

L’industria non ha qualche colpa?
Certo, tutta la filiera è stata totalmente assorbita dalla gestione del problema contingente (la continuità distributiva) e vincolata dal tentativo di rispettare controcifre sul 2019 e attese di redditività come se il 2020 fosse stato un anno normale. Molte aziende di produzione ma anche gli stessi distributori continuano a lavorare eccessivamente sul sell in, nonostante oggi, con i canali ingolfati di prodotti, queste strategie siano ormai fuori contesto. Servirebbe invece che l’industria investisse nella farmacia, così come sarebbe opportuno che la farmacia abbandonasse vecchi opportunismi (nei confronti dei produttori ma anche dei distributori e in particolare dei network ai quali appartengono): se un prodotto non si vende non funziona, a prescindere dallo sconto che riesco a ottenere». Tutta la filiera è dunque chiamata a ripensarsi, imparando a conoscersi meglio e a riconoscere reciprocamente i bisogni, le logiche di funzionamento, le attese verso i partner di canale. E’ lo spirito del progetto “Relazioni di canale nel Mondo Pharma & Healthcare” presentato il 29 marzo da TradeLab in un webinar al quale hanno partecipato oltre 70 manager di più di 40 aziende della produzione e distribuzione. Un’operazione che vuole condividere l’obiettivo di creare una cultura comune e sistemica che faciliti i processi di generazione del valore a tutti gli stadi della filiera.

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