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Amazon rinuncia al B2B, ma la farmacia resta sempre nel mirino

Filiera

La notizia, riportata nei giorni scorsi dalla Cnbc, uno dei più importanti media internazionali dell’informazione finanziaria, avrà ricevuto valanghe di like dai farmacisti di casa nostra: Amazon Business, la divisione del gruppo che opera nel mercato B2B, ha archiviato definitivamente i piani avviati un anno fa per entrare nella distribuzione del farmaco a ospedali e cliniche mediche. Due, secondo l’emittente americana, le ragioni che avrebbero convinto Amazon a rinunciare: primo, l’azienda non è riuscita a scalfire la fedeltà dei grandi ospedali per operatori della distribuzione tradizionale come McKesson o Cardinal Health, dove contano i rapporti di fiducia personali; secondo, il gruppo non è in grado di coprire l’intero assortimento delle forniture ospedaliere ed è particolarmente debole sulla catena del freddo e sui devices più delicati come quelli di classe III (pacemaker e altri impianti chirurgici), per cui gli ospedali continuerebbero a preferire i distributori più forniti.

Se qualcuno, nel comparto della farmacia italiana, ha brindato subito alla notizia, sappia che forse lo ha fatto prematuramente: niente dice che gli stessi motivi per i quali Amazon si è tolta dal mercato Usa del farmaco ospedaliero la terranno fuori anche da quello del rimborsato e del consumer health, ossia il farmaco “senza ricetta”. Già la Cnbc è stata chiara al riguardo: Amazon si ritira dal B2B ospedaliero ma conferma i suoi progetti sul fronte dell’health care, che comprendono la linea di generici Basic Care ma non solo. Alcuni osservatori, in particolare, hanno cominciato a seguire con interesse le mosse del gruppo nel campo dell’intelligenza artificiale applicata alla salute.

Amazon sta lavorando da tre anni circa a un assistente virtuale chiamato Alexa. In sintesi si tratta di un chatbot, un  software che interpreta il linguaggio umano e dialoga con le persone per fornire informazioni o compiere determinate operazioni, sulla base di algoritmi flessibili e avanzati. Alexa può installato sullo smartphone (iOS o Android) o su altri dispositivi digitali e nella versione “basic” risponde ai comandi vocali per riprodurre musica o audiolibri, fornire le previsioni meteo e le informazioni sul traffico, comandare allarmi, sveglie ed elettrodomestici di casa predisposti per la domotica. Attenzione però: Alexa è un software espandibile che può essere integrato con nuovi moduli, chiamati skill, che gli consentono di allargare il suo campo d’azione. E così, un anno fa Amazon ha lanciato assieme all’azienda farmaceutica Merck un contest per la realizzazione di uno skill che consenta ad Alexa di aiutare il paziente diabetico nella gestione della sua patologia: il chatbot, in sostanza, dovrebbe assicurare l’aderenza terapeutica del malato («Hai preso le tue medicine oggi?»), monitorare l’alimentazione («Che cosa hai mangiato a pranzo?») e fare in modo che il paziente si metta settimanalmente in contatto con il suo “care manager”.

Non solo: come riferisce un altro articolo della Cnbc, diversi ospedali americani hanno avviato sperimentazioni per usare Alexa come assistente di sala chirurgica (per le check list) o per fornire ai pazienti in dimissione le informazioni di cui hanno bisogno una volta rientrati a domicilio. Al momento Alexa è disponibile soltanto in due lingue, inglese e tedesco, ma per gli osservatori questi movimenti dimostrano comunque che Amazon non ha rinunciato all’idea di intervenire in modo “disruptive” nei percorsi sanitari e nella gestione delle cure. Anzi, di recente il gruppo si sarebbe assicurato i consigli di alcuni medici americani dal pensiero particolarmente innovativo, con i quali organizzerebbe periodicamente incontri di “brain storming”.

Secondo gli analisti, in sostanza, Amazon continua a lavorare per entrare prossimamente nello spazio della farmacia in una modalità del tutto nuova. C’è chi ricorda, per esempio, che negli Usa il gruppo gestisce il 43% di tutti gli acquisti online effettuati nel Paese, cosa che gli ha consentito di raccogliere una massa di dati talmente estesa da far dire ad alcuni che Amazon conosce gli americani meglio ancora del governo stesso. Le informazioni potrebbero essere utilizzate per programmi che aiutino i medici a prescrivere il farmaco giusto a ogni paziente, anche sotto il profilo del prezzo, oppure per consentire ad assicurazioni e fondi di scegliere più accuratamente le specialità da rimborsare. Non a caso, alcune fonti riferiscono di contatti tra Amazon e due farmacie online americane, OptumRx (che è anche Pharmacy benefit manager, cioè gestore di prontuari farmaceutici per le compagnie della sanità privata) e PillPack.

Chi pensa che la distanza tra la sanità americana e quella italiana sia tale da mettere al riparo da rischi di “amazonizzazione” del mercato di casa nostra corre il rischio di illudersi. Gli italiani pagano ormai di tasca propria un terzo della spesa sanitaria complessiva e un quarto di quella farmaceutica, per un mercato dell’out of pocket che fa già gola alle assicurazioni, ai gruppi della sanità integrativa e anche alla Sanità low cost. Tutti soggetti per i quali Amazon potrebbe presto diventare un partner interessante e promettente.

 

 

 

 

 

 

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