Dopo tre anni di costante contrazione, nel 2024 l’università italiana ha “sfornato” un numero di laureati in Farmacia e Ctf in lieve crescita: 4.069 in tutto, qualche decina in più rispetto al totale del 2023 (4.o30) anche se decisamente meno dei 4.212 laureati del 2022 e dei 4.480 del 2020. E molto al di sotto dei 5.080 farmacisti che sono usciti dagli atenei italiani nel 2018 e dei 5.095 del 2017. I dati arrivano dalla XXVII Indagine Almalaurea, il rapporto con cui il Consorzio interuniversitario fotografa a cadenza annuale condizioni e prospettive occupazionali dei laureati in Italia.
A parte il contenuto rimbalzo nel numero dei laureati, i numeri che riguardano la professione non invitano certo all’ottimismo. Anzi, lasciano chiaramente capire che – a meno di inversioni repentine – le farmacie italiane saranno costrette a fare i conti ancora a lungo con la carenza di “vocazioni” che affligge il comparto. Sì perché i dati di Almalaurea non lasciano dubbi riguardo alle reali cause di tale carenza: volendo rifarsi a un’immagine, è vero che nella clessidra entra meno sabbia di un tempo, ma è soprattutto la sabbia che passa dall’ampolla superiore a quella inferiore a scarseggiare sempre di più, perché preferisce imboccare più spesso altri rivoli.
Sono eloquenti i numeri dell’Indagine 2024 che riguardano gli ambiti occupazionali in cui hanno trovato lavoro i farmacisti a tre anni di distanza dalla laurea (vedi grafico sopra e tabella più sotto): coloro i quali dichiarano di lavorare nel commercio (quindi nelle farmacie del territorio, anche se non solo) ammonta a poco meno della metà degli intervistati, il 48,1%. Andando a spulciare i dati delle indagini precedenti, il calo è evidente e preoccupante: nel 2020 lavorava nel commercio il 66,1% dei laureati a tre anni, nel 2015 erano il 68%, nel 2010 il 72,8%. In 15 anni, in altre parole, la quota di farmacisti che a tre anni di distanza dalla laurea lavora nel commercio (e quindi in farmacia), si è ridotta di quasi 25 punti percentuali, con una picchiata secca di quasi venti punti soltanto negli ultimi cinque anni, tra il 2020 e il 2024.
Quei laureati che mancano, dicono ancora le rilevazioni di Almalaurea, sono da addebitare soltanto in minima parte alla perdita di attrattività della laurea in farmacia (tra il 2020 e il 2024 il calo di laureati è di appena 400 unità circa); invece, è evidente che a incidere è la perdita di attrattività del lavoro al banco, perché nello stesso periodo crescono sensibilmente le percentuali di farmacisti che a tre anni dalla laurea dichiarano di fare altro: gli occupati nell’industria, per esempio, crescono costantemente tra il 2010 e il 2024 e rappresentano oggi quasi un quarto dei farmacisti con un impiego a tre anni dalla laurea; crescono anche gli occupati nel settore chimico-energetico (nel 2024 più di un quinto) così come i farmacisti che hanno abbracciato l’istruzione (un balzo di 11 punti percentuali soltanto negli ultimi cinque anni). In lieve calo invece gli occupati nella sanità, un trend che a prima vista non ha nulla a che fare con lo stress da covid dato che la tendenza è costante dal 2010.
Ad aggravare il trend c’è il fatto che nello stesso periodo è cresciuta sensibilmente la domanda di personale laureato proveniente dal commercio, a causa innanzitutto della proliferazione dei retailer: tra apertura di nuove farmacie e, soprattutto, boom delle parafarmacie (si pensi solo agli oltre 50 punti vendita aperti in un quadriennio circa da Medi-Market, oppure i corner di gdo e catene come Caddy’s), oggi il mercato si trova in una condizione di squilibrio in cui la domanda è nettamente superiore all’offerta.
C’è infine un’altra evidenza che dovrebbe invitare la farmacia a guardare con preoccupazione al trend: a livello geografico i farmacisti che a tre anni dalla laurea risultano occupati si distribuiscono tra Nord, Sud e Centro con percentuali che rimangono sostanzialmente invariate tra 2015 e 2024. Di conseguenza, almeno da questa fotografia, non sembrano sussistere squilibri geografici nel mercato del lavoro che in qualche modo possono spiegare anche solo in parte i fenomeni osservati in precedenza. L’impressione, in altri termini, è che ci si trovi di fronte a un problema sistemico che per essere risolto abbisogna di soluzioni altrettanto sistemiche.
Sembra muoversi in questo senso la proposta avanzata nei giorni scorsi dal presidente dell’Ordine dei farmacisti di Roma, Giuseppe Guaglianone, per inserire nel nuovo Contratto nazionale dei dipendenti di farmacia (al centro di una turbolenta trattativa tra Federfarma e sindacati confederali) una indennità di “specificità sanitaria” di cui già beneficiano altre professioni del Servizio sanitario nazionale. Una misura economica aggiuntiva che – ha sottolineato Guaglianone – «non è solo una rivendicazione economica. Si tratta di dare finalmente forma concreta al ruolo sanitario del farmacista, sancito dalle norme ma spesso disatteso nei fatti». Come si dice, il dibattito è aperto.