Anche se tardano a farsi sentire, le trasformazioni che il ddl concorrenza innescherà nel canale farmacia non investiranno soltanto la titolarità degli esercizi e l’aggregazionismo, ma anche i rapporti commerciali della filiera. Per le aziende produttrici del comparto di libera vendita (il consumer healthcare, nel linguaggio delle imprese) i cambiamento che verranno impongono dunque già da oggi nuove strategie, come spiega a Iqvia e Pharmacy Scanner Giuseppe Abbadessa, general manager della divisione Consumer health di Pfizer Italia.
Secondo i dati di Iqvia, nel giro di qualche anno il 40-45% delle farmacie sarà inquadrata in un’aggregazione, qualsiasi sia la formula. E nell’arco di un biennio, il 20% delle farmacie apparterrà a una catena reale. In quale modo una società come Pfizer guarda a questi cambiamenti?
Il farmacista italiano – pur consapevole dei vantaggi, principalmente di ordine commerciale, che possono derivare dall’appartenenza a un’aggregazione – è un professionista-imprenditore che ama la propria autonomia e rinuncia con diffidenza alla sua libertà d’azione. Per questo motivo oggi, al netto di pochissime eccezioni, le catene virtuali hanno un potere decisionale ancora limitato. E le nostre stime inducono a pensare che l’aggregazionismo procederà a ritmi più lenti di quanto inizialmente previsto. Anche le acquisizioni di farmacie finalizzate alla creazione di catene reali procedono piuttosto lentamente: i grandi attori del mercato stanno incontrando difficoltà importanti nelle compravendite e un po’ tutti rivedono al ribasso i target iniziali dei punti vendita da acquisire oppure posticipano le date entro cui raggiungere gli obiettivi prefissati.
Sui produttori, invece, quali effetti avrà il ddl?
Al netto dei tempi con cui procedono le aggregazioni, il fenomeno ha la portata per cambiare i rapporti di forza sul mercato ed è naturale che le aziende come Pfizer seguano molto attentamente gli sviluppi in atto. Guardiamo a quello che è successo in altri Paesi dove gli stessi processi di concentrazione della distribuzione finale hanno già attecchito: le scelte di assortimento tendono ad avvantaggiare le aziende/marche leader, ma anche a rendere le negoziazioni più muscolari. In Pfizer, di conseguenza, abbiamo adeguato la struttura commerciale per essere pronti a nuove e più evolute interazioni di business.
Il business del comparto Consumer health ammonta oggi a livello globale a circa 20 miliardi. Tra gli addetti ai lavori sono circolati di recente “rumors” su operazioni di dismissione che avrebbero dovuto coinvolgere aziende come Reckitt Benckiser, Gsk e Procter&Gamble. Che cosa spinge le imprese a cedere le loro attività in questo importante segmento di mercato?
Le grandi aziende del settore, e non mi riferisco solo quelle che lei cita, sono multinazionali quotate in borsa con un business farmaceutico predominante. Il loro obiettivo dunque è la massimizzazione del valore per gli azionisti, ossia la capacità di sviluppare crescite sostenibili e profittevoli. In quest’ottica, nelle valutazioni sul business Consumer healthcare, occorre tenere presenti anche le evoluzioni del mercato nei canali diversi dalla farmacia.
Pfizer ha subito di recente un’importante ristrutturazione, che ha riorganizzato l’azienda su tre divisioni: Innovative medicines, Established medicines e Consumer health. Quali sono state le conseguenze a livello locale e quali sono le prospettive per questo nuovo assetto? Come verranno focalizzate le risorse?
La ristrutturazione ha grandi valenze strategiche. Nel Consumer health ci aspettiamo una maggiore autonomia dai criteri e dalle procedure più legate al mondo farmaceutico. In concreto la nostra divisione, a livello internazionale e locale, diverrà più agile, rapida nelle scelte e pertanto più competitiva. Le risorse e gli investimenti saranno indirizzati in maniera più snella ai Paesi e ai brand con maggiori prospettive di ritorno.
Quali sono le sfide che la società si attende nel prossimo anno?
Pfizer Consumer Health è una realtà molto solida e in grande sviluppo. L’acquisizione del marchio Be-Total e i recenti risultati sul resto del portafoglio hanno cambiato la dimensione del business in Italia. Ciò premesso, abbiamo tante direttrici su cui migliorare e continuare a costruire. Le sfide per il futuro nel breve e medio termine riguardano la risposta che intendiamo fornire a consumatori sempre più esigenti, informati e digitalmente alfabetizzati. Il business model della divisione, storicamente molto focalizzato sulla comunicazione, dovrà evolvere e integrare azioni di prossimità verso la distribuzione, in particolare la figura del farmacista, che reputiamo punto di riferimento centrale per lo sviluppo di una cultura di prevenzione, salute e benessere.