I dati dell’Osservatorio Catene che New Line ha presentato venerdì 12 dicembre nella terza edizione di Scanner Orizzonti hanno consegnato al settore una fotografia tanto chiara quanto impegnativa: oggi quasi una farmacia su due in Italia è organizzata, inserita in una catena, in un network strong o light o in una forma strutturata di aggregazione. Un dato che racconta un mercato che cerca stabilità, metodo, protezione in un contesto sempre più complesso e competitivo.
Eppure, dietro questa apparente solidità, si nasconde a mio parere una fragilità che il dato numerico da solo non riesce a raccontare. Perché mentre le strutture crescono, le persone ancora faticano. E senza un’evoluzione delle persone, nessuna organizzazione regge davvero nel tempo.
È interessante notare come, proprio mentre il sistema delle farmacie fatica a trovare una vera evoluzione culturale e professionale al proprio interno, il dialogo istituzionale abbia invece fatto passi avanti concreti e rilevanti. Negli ultimissimi mesi, il lavoro congiunto tra Marcello Gemmato, in rappresentanza del Governo, e il presidente Cossolo con il team di Federfarma ha prodotto risultati strategici per l’intero comparto. Dalla firma della nuova Convenzione nazionale, attesa da oltre vent’anni, al rafforzamento della farmacia dei servizi, alla riorganizzazione della distribuzione dei farmaci sul territorio, il confronto si è tradotto in scelte operative chiare, orientate alla sanità di prossimità. Un connubio efficace tra visione politica e rappresentanza professionale che ha restituito centralità alla farmacia come presidio sanitario moderno, accessibile e pienamente integrato nel Servizio Sanitario Nazionale.
Ed è proprio qui che emerge la vera frattura. Il contesto evolve, le opportunità aumentano, il ruolo della farmacia si rafforza. Ma il sistema organizzativo e formativo rischia di restare indietro. Perché non basta essere riconosciuti come presidio sanitario se poi, dentro la farmacia, le persone non sono messe nelle condizioni di interpretare perfettamente quel ruolo.
Negli ultimi anni il termine “network strong” è diventato un grande contenitore. Dentro convivono modelli molto diversi: network orientati al potere d’acquisto, altri focalizzati sull’immagine e sul format, altri ancora più strutturati sui processi e sull’uso dei dati. Ma c’è un elemento che li accomuna troppo spesso: parlano a tutte le farmacie allo stesso modo.
Le farmacie non sono tutte uguali, e non lo sono nemmeno le persone che ci lavorano. Eppure la proposta resta spesso uniforme, standardizzata, pensata per una “farmacia media” che, nella realtà, non esiste. Manca una vera clusterizzazione, una lettura profonda delle differenze per dimensione, contesto, modello di business, maturità imprenditoriale e organizzativa. Il risultato è una proposta che inevitabilmente diventa una media: rassicurante, ma poco trasformativa. E quando si parla a tutti nello stesso modo, qualcuno resta sempre scontento.
Questo aspetto diventa ancora più evidente se si guarda al tema della formazione del team. Oggi il mercato farmacia vive una contraddizione evidente: la categoria principale, i farmacisti, è spesso stanca, disorientata, in crisi di ruolo. Si chiede loro di essere consulenti, venditori, specialisti, manager, ma senza definire un percorso chiaro di crescita a medio termine, senza livelli di specializzazione definiti, senza una visione condivisa.
Molti network investono in strumenti, format, campagne, private label, ma trascurano la vera leva competitiva del futuro: le competenze delle persone. La formazione, quando c’è, è spesso generalista, episodica, molto focalizzata sul prodotto, scollegata da un progetto di sviluppo reale. E invece, oggi più che mai, servirebbe un approccio radicalmente diverso: percorsi differenziati, coerenti con i cluster e i posizionamenti delle farmacie, con ruoli chiari all’interno del team e con livelli di specializzazione riconoscibili.
Perché il punto non è solo vendere meglio ciò che già esiste, ma capire quali mercati emergenti la farmacia può intercettare e con quali competenze. Servizi, prevenzione, aderenza terapeutica, dermocosmesi avanzata, integrazione, benessere, cronicità, presa in carico del paziente: sono ambiti già davanti agli occhi di tutti. Per non parlare di quei prodotti che sono ben presenti in farmacia, ma che il consumatore scegli di comprare in altri canali. Vi assicuro che senza modelli innovativi e senza persone formate, motivate e specializzate, restano opportunità teoriche, non nuovi business reali.
Qui si gioca una partita decisiva. Senza differenziare, il network gestisce. Senza un’evoluzione del team, il network rischia di distribuire strumenti che restano inutilizzati. Senza una visione sui nuovi mercati, la farmacia naviga a vista, inseguendo mode invece di costruire traiettorie.
Alla luce dei dati dell’Osservatorio Catene, il vero tema da organizzare non è più l’aggregazione. Quella è già in atto. Il vero tema è la qualità del progetto che accompagna l’aggregazione. Perché organizzare le farmacie senza far crescere le persone significa rimandare il problema, non risolverlo.
Forse allora la domanda che ogni farmacista dovrebbe porsi non è “in quale network entro”, ma questo network sa dirmi chi siamo oggi e chi possiamo diventare domani? Sa distinguere la mia farmacia dalle altre, comprendendo le esigenze reali del mio cluster di appartenenza? Mi aiuta ad investire sul mio team con strumenti qualificati e testati? Mi supporta nel costruire competenze che aprano nuovi mercati e non solo a difendere quelli esistenti?
Se il futuro vedrà sempre più farmacie organizzate, la differenza non sarà tra chi è dentro e chi è fuori. Sarà tra chi appartiene a un sistema che semplifica uniformando e chi entra in un progetto che evolve davvero persone, ruoli e modelli di business. Perché il mercato può anche cambiare velocemente, ma senza crescita culturale e professionale nessuna struttura – per quanto strong – potrà dirsi davvero solida.

