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Datamatrix, si fa strada l’ipotesi di un “periodo di adattamento”. Resta lo scoglio della carta valori

Filiera

Si fa sempre più concreta l’ipotesi che nella transizione al Datamatrix, il nuovo sistema europeo di tracciatura del farmaco, in vigore in Italia dal 9 febbraio 2025, venga concesso alle imprese un «periodo di adattamento» di almeno 18 mesi, più probabilmente 24. È l’orientamento che starebbe emergendo ai tavoli dove organizzazioni della filiera e governo si stanno confrontando sui contenuti della bozza di decreto legislativo: questa fase transitoria, è la tesi, consentirebbe alle imprese di completare gli adempimenti tecnici che entro la scadenza fissata dal d.lgs non sarebbe materialmente possibile espletare.

A preoccupare, come Pharmacy Scanner aveva già avuto modo di evidenziare, sono soprattutto le incombenze legate alle nuove confezioni: al contrario dell’attuale tracciatura con bollini adesivi, i nuovi codici datamatrix sono stampati sulle scatole direttamente dai produttori, cosa che li obbliga a riprogettarne il packaging, inviare all’Aifa la domanda di autorizzazione e quindi produrle. Senza dilazioni che attenuino l’impatto della transizione al Datamatrix sulle linee produttive – è l’eventualità agitata dall’industria farmaceutica – le aziende si vedrebbero costrette a dichiarare cautelativamente lo stato di carenza per molti dei loro farmaci (la legge impone una comunicazione con almeno quattro mesi di anticipo), con effetti immaginabili sulla quotidianità della filiera.

Resta invece senza soluzioni, almeno per il momento, l’altro scoglio da superare, quello relativo alla carta valori che il decreto legislativo individua come soluzione italiana al dispositivo anti-tampering (antimanomissione) richiesto dal Regolamento Ue 2016/161. Come noto, la soluzione individuata dal legislatore italiano non ha corrispondenze negli altri Paesi europei che hanno già adottato il Datamatrix (una trentina), dove la scelta del dispositivo è stata lasciata alla libera iniziativa delle aziende. Nel nostro Paese invece c’era la necessitò di “salvare” il Poligrafico dello Stato (che dai vecchi bollini ricavava una novantina di milioni di euro all’anno, versati dall’industria) ed ecco quindi l’idea della carta valori, analoga a quelle che l’Istituto produce per sigarette, alcolici e via discorrendo.

Per l’industria però la soluzione è semplicemente impraticabile (andrebbero ripensate da zero le linee produttive) quindi la controproposta sarebbe quella di ripiegare su una “marca da bollo virtuale” con cui le aziende verserebbero al Poligrafico una sorta di “tassa” e finita lì. A quanto pare, tuttavia, l’idea non starebbe trovando grande apertura a livello nazionale: in sintesi, rivelerebbe in modo troppo smaccato il fine reale della carta valori, ossia assicurare alla Zecca un obolo “salva-occupazione”.

Il confronto prosegue, ma il tempo intanto passa: le Commissioni parlamentari dovrebbero esprimere il proprio parere entro il 27 ottobre, quindi il decreto legislativo tornerà in COnsiglio dei ministri per l’approvazione finale e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (con le questioni applicative delegate a successivi decreto ministeriali).

 

 

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