Visto il clamore che ha suscitato sui media internazionali, non dovrebbero essere molti i farmacisti all’oscuro dell’ultimo scandalo che ha colpito la presidenza americana, quello di “Cambridge Analytica”. Un ripassino? Pochi giorni fa, alcuni articoli del Guardian e del New York Times alzano il velo sui traffici di dati orditi da una società inglese – Cambridge Analytica, appunto – dietro le quinte del più grande social al mondo, Facebook. Le due inchieste, in particolare, portano allo scoperto il ruolo che quest’azienda avrebbe recitato nell’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. E il lavoro che Cambridge Analytica ha effettuato con quei dati, ricavati da Facebook in maniera assolutamente legale perché quando l’ha fatto il codice salva-privacy del social lo consentiva.
Vale la pena ricostruirlo in dettaglio, questo lavoro, perché alle farmacie e ai farmacisti dovrebbe interessare non poco. Che ha fatto in sintesi la società inglese? Semplice: ha elaborato qualche sondaggino “giocattoloso”, di quelli che girano tanto su Facebook, e poi è andata in giro a proporlo agli utenti del social network. A chi voleva cimentarsi, Cambridge Analytica ha chiesto di poter accedere al loro profilo e tutti hanno acconsentito (lo facciamo noi stessi ogni giorno, sempre su Facebook), poi ha chiesto di accedere alla loro lista degli amici (all’epoca le regole del social lo consentivano) ed è andata a proporre il suo sondaggino anche a loro, secondo la più classica delle catene di sant’antonio.
Nel giro di breve tempo, così, Cambridge Analytica ha avuto accesso ai dati di un numero spropositato di utenti. Dati del tutto “insensibili” agli occhi dei loro stessi possessori (su Facebook parliamo quasi soltanto di vacanze, viaggi, ristoranti e altre frivolezze), particolarmente eloquenti invece per chi li sa leggere. Proprio il caso della società inglese, che deve il suo nome a un gruppo di ricercatori di Cambridge: qualche anno fa questo team ha creato un algoritmo capace di “stratificare” le persone in base ai “Mi piace” o ad altre informazioni di bassa intensità dei loro profili Facebook. Come funziona questo algoritmo? Se segui un gruppo social che è contro il nucleare, vieni collocato tra gli elettori dei democratici; se hai armi in casa, più probabile che tu sia repubblicano. Ovviamente queste sono banalità: l’algoritmo si basa su analisi psicometriche estremamente sofisticate, quindi è capace di schierarti a destra o sinistra – oppure dedurre i tuoi comportamenti di acquisto – in base a preferenze in apparenza insignificanti come la località preferita per le vacanze, i cantanti più ascoltati, il tipo di colazione e altre cose ancora.
Il contributo alla campagna elettorale di Trump assicurato da Cambridge Analytica parte proprio da queste profilazioni. Una volta incasellati gli utenti, a ognuno venivano inviati messaggi sintonizzati: ti piacciono i cani? Trump è a favore di una riduzione delle tasse per i padroni di Pet; sei un appassionato di armi? Trump è contro le limitazioni alla vendita di fucili automatici. E così via.
Ed eccoci allora alla considerazione del titolo: se fosse un farmacista, il presidente Trump avrebbe parecchio da insegnare ai titolari delle farmacie italiane. I quali, nella stragrande maggioranza, usano i social network in modo del tutto errato. Conferma Pierangelo Fissore, direttore marketing di Uninetfarma, che da tempo esplora e viaggia per i profili Facebook delle farmacie di casa nostra: «Quasi sempre» spiega a Pharmacy Scanner «le pagine social vengono utilizzate per pubblicizzare campagne, promuovere sconti, comunicare giornate a tema. Contenuti, cioè, che all’utente medio di Facebook non interessano».
Invece, Facebook dovrebbe essere utilizzato per profilare e fidelizzare, più o meno come come ha fatto Trump. «Sui loro profili» continua Fissore «le farmacie dovrebbero proporre contenuti non pubblicitari ma comunicativi, che consentano al farmacista di sapere di più dei suoi clienti e delle loro preferenze. E ormai non bastano più soltanto i testi: sono indispensabili anche immagini e video». Per questo lavoro non servono i sofisticati algoritmi di Cambridge Analytica, né occorre essere dei maghi dei social: Tesco, la nota catena inglese di supermercati, ha profilato i propri clienti vegani e vegetariani in base agli acquisti registrati sulla carta fedeltà – prodotti a base di soia e altro ancora – e oggi propone loro promozioni sul reparto alimentare che ovviamente non riguardano i prodotti a base di carne.
Quali sono allora i contenuti su cui dovrebbero puntare le farmacie “social”? «Non c’è che l’imbarazzo della scelta» osserva Giorgio Chiaberge, consulente di settore e “firma” di Pharmacy Scanner «la farmacia è piena di contenuti e pure interessanti, perché riguardano la salute. Piuttosto, conta anche il come li trasmetti: bisogna saper emozionare, dunque occorre una certa dimestichezza con la scrittura, o quanto meno saper raccontare. Si può anche essere spiritosi e simpatici, ma senza eccedere perché si otterrebbe l’effetto opposto. E si deve mantenere un tono proattivo più che assertivo, perché l’obiettivo è la cosiddetta “call to action”, ossia l’invito a partecipare. Dunque meglio titoli con il punto di domanda, per invitare a rispondere, e chiusure con frasi classiche tipo “…e voi che ne pensate?”. Ma attenzioni, sono domande che impongono poi di seguire e moderare la discussione, perché polemisti e disturbatori vanno arginati e isolati».