Non è contraria al diritto comunitario la norma nazionale che vieta alle farmacie online di lanciare concorsi a premi tra chi ordina per posta un farmaco con obbligo di prescrizione. E’ quanto ha stabilito la Corte di giustizia europea nella sentenza del 15 luglio scorso sulla causa C-190/20 che contrapponeva DocMorris e Ordine dei farmacisti della Renania settentrionale. Il caso risale alla primavera del 2015, quando la e-pharmacy olandese lancia un «gioco a premi» – pubblicizzato tramite volantini in tutta la Germania – che assegna al primo estratto una bici elettrica del valore di 2.500 euro. Per partecipare è sufficiente comprare da DocMorris un etico qualsiasi, inviando per corrispondenza buono d’acquisto e ricetta, ma l’Ordine dei farmacisti si mette di traverso e porta la farmacia online in tribunale per condotta anticoncorrenziale. In primo grado i giudici danno ragione a DocMorris ma in appello è l’Ordine ad avere la meglio. Il contenzioso arriva così davanti alla Corte federale di giustizia, che nel febbraio 2020 si rivolge ai magistrati europei per una pronuncia pregiudiziale.
Il quesito sollevato dai giudici tedeschi chiama in causa la direttiva 2001/83 (ossia il Codice comunitario sui farmaci per uso umano) e chiede se l’articolo 87, paragrafo 3, renda incompatibile «una normativa nazionale che vieta a una farmacia che vende medicinali per corrispondenza di organizzare un’azione pubblicitaria sotto forma di gioco a premi, nel quale sono in palio oggetti di uso corrente diversi dai farmaci e la cui partecipazione è subordinata all’invio di un ordine per un medicinale soggetto a prescrizione medica, accompagnato da tale prescrizione».
Nella sua risposta, la Corte di giustizia europea provvede innanzitutto a correggere il quesito tedesco: il concorso organizzato da DocMorris non mira a influenzare il cliente perché scelga un certo farmaco rispetto ad altri, quanto piuttosto a preferire una farmacia sulle altre. Di conseguenza non è la direttiva 2001/83 a fare testo, né lo è la 2000/31 sulla società dell’informazione (e il commercio elettronico) perché gli acquisti premiati con il concorso non passano dal web ma tramite corrispondenza.
Ne consegue, continua la Corte, che la causa riguarda la libera circolazione delle merci e dei servizi, dunque va a toccare «le libertà fondamentali sancite dal Tfue», il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Occorre allora chiedersi se la normativa tedesca – ossia la Legge sulla pubblicità dei medicinali, che all’articolo 7 vieta di «offrire, annunciare o concedere vantaggi e altri omaggi pubblicitari come prodotti o servizi» – sia compatibile con quanto dispone l’articolo 34 del Tfue, che tutela il commercio tra gli Stati membri.
Al riguardo, i giudici europei ricordano che, secondo una giurisprudenza consolidata in ambito comunitario, le disposizioni nazionali dirette a vietare o limitare talune modalità di vendita non sono considerate incompatibili con il Tfue alla condizione che «valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati e incidano in egual misura, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello sostanziale, sulla commercializzazione dei prodotti nazionali e su quella dei prodotti provenienti da altri Stati membri».
Questo, conclude la Corte, è il caso della Legge tedesca, rivolta indistintamente a tutte le farmacie che vendono medicinali nel territorio tedesco, siano stabilite nel territorio della Repubblica federale o in un altro Stato membro. Possono esserci casi, ammettono i giudici comunitari, in cui «il divieto totale di una particolare forma di pubblicità da parte di un Paese finisca per incidere in misura maggiore sui prodotti provenienti da altri Stati Ue», ma non è questo il caso della normativa tedesca che riguarda «non già la promozione di un determinato prodotto, bensì quella della vendita per corrispondenza di medicinali di ogni tipo».
La decisione della Corte europea è stata accolta dai farmacisti tedeschi con soddisfazione e anche sollievo. Nella professione, infatti, è ancora vivo il ricordo della sentenza che nel 2016 aveva invece escluso le farmacie online straniere che vendono in Germania dal divieto di praticare sconti e promozioni sui prezzi dei farmaci con ricetta. In quel caso, sostennero i giudici, l’articolo 34 del Tfue andava interpretato «nel senso che una normativa nazionale, che impone prezzi uniformi per la vendita in farmacia di medicinali con ricetta, configura una misura equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione, dal momento che tale normativa incide maggiormente sulla vendita di medicinali soggetti a prescrizione da parte di farmacie stabilite in altri Stati membri rispetto alla vendita di tali medicinali da parte di farmacie stabilite nel territorio nazionale».
Di quella sentenza si è ricordata anche la Corte europea, che nella decisione sul caso DocMorris la cita soltanto per affermare che non c’è contraddizione tra i due interventi: «Una norma che vieta concorsi a premi per promuovere la vendita di medicinali» scrivono i giudici «ha conseguenze molto meno significative sulle farmacie per corrispondenza rispetto al divieto totale della concorrenza sui prezzi. Inoltre, un divieto del genere riguarda anche le farmacie convenzionali, anche queste interessate a promuovere la vendita dei loro medicinali mediante giochi pubblicitari».